Categoria: linguaggio del corpo

  • L’età della crescita, ovvero tre episodi di cambiamento corporeo (episodio 3)

    Yoga e cambiamento corporeo, esperienze Yoga, insegnante Yoga, KeYoga
    “fortuna che l’età della crescita l’ho passata” 
    Lo pensi con gratitudine, chiedendoti che ci fanno così tanti ragazzini suppergiù delle medie, in tram, in piena estate, ché la scuola è finita.

    Ti chiamano la memoria a quando c’eri tu, alle medie, e guardandoli sgraziati e allegri ripensi a quella parola strana che ti dicevano i medici all’epoca, e la pronunciavano seri, a volte cupi: scoliosi.
    Seguita da un sacco di altre parole e aggettivi, che volevano dire che la tua schiena lunga non la voleva smettere di crescere, andava in fretta, troppo, scappava via, e si stava accartocciando.
    A te veniva in mente il proverbio che ripeteva sempre il nonno: chi va piano va sano e va lontano, “… ma cosa corri a fare, schiena, che poi ti schianti?”.
    Di crescere, ti dicevano, si smette. 
    Se non metti il busto adesso, tra sei mesi sarà troppo tardi, dicevano, ché l’accartoccio mica si può più sistemare, dopo.
    Anzi, alcuni volevano operarti lì per lì per correggere la folle corsa della tua schiena.
    A te faceva così tanta impressione che ti rifiutavi perfino di immaginartelo.
    I più arditi arrivarono a spiegarti, con un disegno che ancora ricordi, che la tua statura un giorno sarebbe poi diminuita, che capita a tutti, è naturale.
    Spiegavano che, a un’età che quando si è molto giovani non si riesce proprio a concepire, si inizia a ritirarsi e l’accartoccio allora diventa un nodo marinaio.
    A te sembrava di essere il tuo maglione preferito quella volta che era finito nel lavaggio sbagliato, e avresti voluto tirarti fuori dalla lavatrice prima che il programma iniziasse a infeltrirti.

    A un certo punto, ricordi bene mentre scendi alla tua fermata, ti sei rifiutata di vedere altri medici.
    Di farti operare.
    Di mettere il busto.
    E ti sei tenuta la diagnosi, pensandoci sempre meno e andando avanti col resto dell’adolescenza.




    Non mi sono mai sognata di mettere in discussione quei postulati.
    Non mi sono nemmeno mai sognata di verificare, superata l’età della crescita e invertita la direzione, il numero nei documenti che indica la statura, perché i postulati sono, appunto, postulati e da un certo punto in poi gli unici numeri ufficiali che cambiano sono quelli del recapito. 
    Fino al giorno in cui qualcuno dichiara che sono certamente più alta dei centimetri scritti sulla carta d’identità.
    Ne è sicuro, vuole verificarlo, per provare di riflesso che la propria, di statura, corrisponde a quella certificata nei suoi, di documenti: di fatto siamo alti uguali, sulla carta c’è una differenza di diversi centimetri.
    Quel metro lì nella farmacia all’angolo dice che, dall’ultima misura adolescenziale, sono cresciuta.
    Due centimetri.
    (lui invece, apparentemente ne ha persi quattro, ma questa è un’altra storia).
    Mi è venuta la voglia prepotente di fare quattro chiacchiere vis-à-vis con la pletora di ortopedici che mi terrorizzarono da ragazzina, sostenendo che a ventanni non sarei più stata in grado nemmeno di camminare, “con quella schiena”…

    Anni di Yoga sono (anche)  piedi più larghi insofferenti alle calzature (soprattutto se strette e col tacco), spalle e torace che non entrano più in nessuna vecchia giacca e un guardaroba da rifare, e due centimetri in altezza guadagnati alla scoliosi che avrebbe dovuto paralizzarmi vent’anni or sono.
    Lo Yoga mi insegna, giorno per giorno, ad abitarmi in modo diverso, a scoprire con stupore sempre nuovo spazi impensati.

    La cosa più interessante, però, non è trovare un altro numero di scarpe, né cambiare la misura sui documenti.
    E’ mettere in dubbio i postulati.

    [anche qui e qui]
  • di abiti e altre amenità – ovvero tre episodi di cambiamento corporeo (episodio 2)

    Yoga e cambiamento, Corpo e Yoga, KeYoga, Laura Voltolina“se trattengo il fiato per tutto il matrimonio, potrei anche riuscire a non far saltare le cuciture”, dici, perplessa.         
    E’ avanti con l’età e sorride, in quel suo salotto pieno di mobili scuri troppo grandi e centrini di pizzo sotto foto in cornice, a decine, di tutte le cerimonie familiari degli ultimi quarantanni, comprese le cresime dei nipoti dei secondi cugini o giù di lì.  Sei appena entrata eppure tutto ti è noto, come se fossi andata a trovare una prozia un po’ matta che vive lontana (invece sei a meno di cinquecento metri da casa tua).


    Armeggi in apnea con la lampo per liberarti dalla morsa dell’unico Abito da Cerimonia che possiedi.
    “la giacca”, aggiunge lei, ridendo apertamente “non dovrai mica metterla, vero?”

    Somiglia davvero alla tua vecchia prozia, forse perché fa la sarta anche lei.
    In quel momento sai con sicurezza che conserva diligente i buoni sconto del supermercato, fa dello zabaione buonissimo e troverà magicamente il modo di farti respirare in quello stesso abito che poco prima ti soffocava, frutto di un incauto acquisto di oltre due anni or sono: quella volta era il matrimonio numero tre di una tua amica e tu pensavi non fosse opportuno stare nell’album di nozze con lo stesso abito dei matrimoni numero uno e due.
    Avevi deciso un investimento; ci avresti giurato di usarlo, quel vestito, in tutte le numerose occasioni di cui la fantasia aveva improvvisamente farcito la tua vita mondana (che, per la verità, somiglia piuttosto a quella di una novantenne in coma), ché certe spese una non le fa mica a cuor leggero, deve giustificarsele.
    Durante l’ultimo, delirante trasloco, eri anche miracolosamente riuscita a conservare il prezioso Abito intatto, riservandogli le cure che si dedicherebbero a un bebé in uno tsunami, per dire. 

    Nel tempo, comunque, avevi già notato nei tuoi vestiti l’antipatica tendenza a stringertisi sulle spalle (e tu per vestiti intendi acquisti occasionali strettamente necessari a non insegnare Yoga con maglie bucate).
    Davi la colpa alla scarsa qualità del materiale, cavolo, due passaggi in lavatrice e si stringono subito… non che ti sia mai curata chissà quanto dell’abbigliamento e quando l’unica cosa che ti spinge a entrare in un negozio è il prezzo sul tavolo dei rimasugli di fine stagione (di almeno cinque anni prima), la tua logica ti porterebbe a credere che un abito di un buon materiale, quell’Abito, non ti tradirebbe mai, ché la spesa è, sicuramente, valsa la pena.

    Per quasi tutte le illusioni arriva il giorno di infrangersi e questa si è frantumata a pochi giorni dalla seconda occasione di indossarlo, a distanza di quasi tre anni dalla prima (e a conferma della scarsa mondanità che ti contraddistingue), quando hai prudentemente pensato di riprovarti l’Abito.


    Indossarlo per la seconda volta mi ha spedita dritta in Via col Vento e la prima cosa che mi sono detta, mentre incredula cercavo di chiudere la cerniera, è stato “mai più cioccolata”.


    Non sono ingrassata, però; è qualcosa di diverso.
    E’ il mio torace che ha preso spazio, sicuramente più di quello che avrei mai immaginato.
    Con tante scuse alle grandi catene di rivendita di vestiario (che pure altre e molte colpe hanno),  è lo Yoga che, quatto quatto, mi ha aperto il respiro.
    Questo allargamento di spalle e torace mi costringe a “pensarmi” diversa, più larga, più “spessa”.

    E a benedire la sarta sotto casa.
    [inizia qui, continua qui]
  • quelli che…il Linguaggio Segreto del Corpo

    da questa settimana di Yoga, i feedback dei partecipanti, che ringrazio col Cuore…

    “a cosa mi è servito il corso? ad aprire le finestre del cuore al sole…”

    “devi ricercare dentro il tuo corpo. ciò che scopri andrà a tuo vantaggio. gli altri possono darti i mezzi e gli strumenti ma non possono fare questa ricerca per te

    “mi “penso” come una regina, con la corona in testa, sia quando cammino per la strada, sia quando faccio marmellate o dipingo, mi sento la lepre che mette fuori la testa e annusa l’aria, mi sento a mio agio nel mio vecchio corpo arrotondato dall’età e dal vissuto. i movimenti sono più fluidi, anche quando sono veloci, e ho incorporato l’infinito nella camminata, insomma sculetto! :-))”

    “mi sento più capace di governare la mente, mi pare di aver lasciato alle spalle tredici anni di malessere che sotto sotto mi logorava”

    non sono più la stessa persona di prima. almeno in parte. credo di essermi avvicinata finalmente un pochino alla risposta alla fatidica domanda “cosa vuoi fare da grande?” – ho resistito all’impulso di fare uno dei miei soliti colpi di testa, ma non mi ero mai sentita così libera prima e sento l’esigenza di prendermi cura del mio corpo. in generale per me è stata una settimana di “amplificazione” e “apertura”!



    “ho fatto pace con il mio profilo, porto di più i capelli raccolti, mi nascondo di meno!”


    “è avvenuto un cambiamento profondo, di cui ancora non misuro la portata. mi preoccupo meno del giudizio degli altri […] piango meno e rido di più!!”

    “mi sento più di prima. mi sento più leggera a volte. sento uno spazio tutto per me, come se il mio corpo fosse una sorta di tempio, un luogo nel quale ripararmi quando fuori piove. devo dire che faccio fatica a distinguere cosa derivi dalla settimana di yoga e cosa invece dalla meditazione giornaliera, ma di sicuro la settimana di yoga ha amplificato le sensazioni corporee e il “sentire il corpo”

    “ho imparato a modificare la mia postura non appena mi rendo conto di essere ripiegata e incassata come mio solito 😉 ho scoperto un dolore molto forte alle anche con il quale convivevo senza neppure rendermi conto, ho scoperto le mie dita dei piedi anche quando cammino, ho trovato un’energia fortissima e questo mi ha spinto a correre. questo è tutto merito della settimana di yoga che mi ha permesso di esplorare i miei limiti, che sono molto più mentali che reali (la visualizzazione p.es. aiuta moltissimo)”

    “ho imparato a dare più fiducia all’intuizione che alla mente, che “mente frequentemente” “


    “mi sono accorta che […] faccio il “guardiano del tesoro” di me stessa e fatico ad espormi, mentre sarebbe cosa sana e giusta se espandessi all’esterno le mie qualità […] so di avere molto da dare ma sono bloccata. in compenso su altri fronti sento di star lasciando andare vecchi schemi caratteriali, diciamo che un po’ il lavoro interiore costante mio, un po’ lo yoga tuo (con le belle storielle che hai raccontato) stanno lentamente modificando automatismi reattivi che una volta erano decisamente forti in me. quindi nulla che faccio è vano, anzi, un gradino in più nel mio viaggio di consapevolezza in questa vita terrena. la via umida comporta pazienza…” 
  • in principio furono i piedi, ovvero tre episodi di cambiamento corporeo (episodio 1)

    Piedi e Yoga: cambiamento corporeo, KeYoga, Laura Voltolina

    a Natale 2010 sei partita per l’India da sola e un po’ alla cieca, senza lo straccio di un piano vero e con il solo bagaglio a mano: uno zaino quasi esclusivamente stipato di medicinali omeopatici, allopatici, antibiotici per qualsiasi evenienza, il resto che servirà lo troverai in loco, meglio viaggiare leggera, hai pensato, chiedendoti con quanto sforzo “conservare in luogo fresco e asciutto, temperatura massima 18°C” si sarebbe adattato al clima locale di quell’ultimo lembo di terra indiana prima dell’oceano.
    Tra le pochissime concessioni ad elementi estranei alla sfera farmacologica ci sono i tuoi storici sandali rasoterra allacciati alla caviglia.
    avevi previsto medicinali per ogni sorta di probabile o improbabile attacco al tuo sistema immunitario, ma non avevi previsto che i sandali sarebbero stati scomodi da togliere e rimettere decine di volte al giorno, a entrare e uscire da templi, negozi, ashram e via dicendo.
    Non lo sapevi proprio (anche per via dell’assenza di un piano vero e di informazioni basilari) che, strada a parte, in quell’angolo all’estremo Sud dell’India saresti andata in giro scalza.

    Come nel civile nord Europa, che quando si entra in casa ci si tolgono subito le scarpe, anche se non sei a casa tua e hai i buchi nei calzini.
    Non ci avevi pensato, eppure nella tua italianissima casa costringi gli amici di passaggio (lo faresti anche con l’idraulico e l’elettricista se avessi il coraggio di chiederglielo) a togliersi le scarpe all’ingresso, offrendo in cambio l’obliqua comodità di pantofole-per-gli-ospiti comprate in saldo a un euro il paio e che loro trovano, giustamente, inquietanti, d’inverno, o cantando le meraviglie della libertà dei piedi scalzi, d’estate.
    Insomma, dallo sbarco in poi trascorri un tempo che valuti eccessivo ad allacciare e slacciare la fibbia degli storici sandaletti che dall’altra parte del mondo ti sembravano comodissimi ma qui ti diventano odiosi, minando la cifra di praticità essenziale dell’intero viaggio.
    Dopo la mezz’ora più lunga della tua vita su un motorino indiano insieme a due amici (se non si supera il plurale di almeno una cifra, a bordo di un mezzo qualsiasi, è chiaramente uno spreco maleducatissimo) incontrati proprio quel giorno, durante la quale avete attraversato la città e siete arrivati, inspiegabilmente illesi ma con (tuo) indiscutibile incanutimento precoce (la nonchalance degli altri passeggeri ti lascerebbe basita, se avessi fiato per notarla), alle bancarelle ai piedi del tempio, decidi di procedere all’acquisto di un paio di infradito.
    Indiane, in pura plastica che il venditore continua a cercare di convincerti essere pelle e, dopo un po’, inizi perfino a credergli o almeno fingi di farlo perché in India è così, per sopravvivere essenziale e pratica a un certo punto devi tagliare corto nelle contrattazioni.
    Tanto vincono loro comunque.
    Ti provi il tuo numero, 38 e mezzo (“toh, guarda, anche in India hanno le mezze misure!”) ma facciamo 39 ché qua camminerai parecchio e l’ultima cosa che vuoi è dover ricorrere ai medicinali (che trasporti in giro a spalla pronta ad incoraggiare, nel temutissimo momento del confronto decisivo, i tuoi pallidi e occidentali globuli bianchi rispetto ai nerboruti batteri virus e altre amenità subtropicali che popolano la tua fantasia) per curarti le piaghe infette che certamente ti martorierebbero i piedi.
    Il 39 ti è piccolo, però.
    Invece il 40 indiano ti calza a pennello, e a te sembra di aver capito come gira da queste parti.


    Invece non avevo capito niente, ma me ne sono accorta mesi dopo il rientro, nel giorno in cui, in patria, cerco un paio di scarpe nuove, in un negozio di attrezzatura sportiva, nella mia lingua e senza possibilità, né onere per la verità, di contrattazione.

    Provo il mio numero: 38 e mezzo.
    Non mi entrano in nessun modo; ma, si sa, a volte il modello calza poco…
    Il commesso mi guarda compassionevole, e dice no, guarda che non sono le scarpe.
    è il tuo piede.
    Allora misuriamolo, ‘sto piede!
    Caspita…mi sono cresciuti i piedi…

    Anni di Yoga e piedi dall’arco plantare contratto, che gli ortopedici della mia adolescenza ritenevano irrecuperabili, si sono allargati, hanno preso spazio, preso terra, mi hanno “accomodata” meglio.
    Il mio nuovo numero è davvero 40, preciso.
    Preciso in tutto il mondo.

    ps: per la cronaca, l’arsenale di medicine trasportato attraverso mezzo mondo è tornato intonso. 
    [continua, continua]

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