Categoria: Shiva

  • Il figlio del monsone – Ganesha (prima parte)

    Il figlio del monsone – Ganesha (prima parte)

    Ganesha, storia delle divinità indiane, Yoga e Mitologia, KeYoga, Laura Voltolina

    Gli altri clienti occidentali nell’internet point di Varanasi si irrigidiscono, ci scambiamo occhiate perplesse e allora no, non è stata un’impressione solo mia.
    Un topolino, in un lampo, mi è proprio passato vicino e l’istinto di sollevare di scatto i piedi da terra ha avuto la meglio sulla nonchalance da viaggiatrice navigata con cui cerco (maldestramente) di mascherare lo stupore costante che vivo in India, dove il confine tra quello che vedi e ci credi, quello che vedi ma fai fatica a crederci e quello che vedi ed è totalmente incredibile, beh è impalpabile, fai confusione.

    Quel negozio minuscolo, con tastiere appiccicose e annessa rivendita di bibite e anacardi, brulica, innegabilmente, di topolini.
    Ganesha”, commenta serafica la proprietaria, che lì con marito, tre figli, i pc, le bibite, i sacchetti di anacardi e i topolini, ci vive, puntualizzando quanto sia assurdo il disgusto che una cosa normale come il passaggio del roditore ha evidentemente innescato in noi.
    In effetti, la signora ha ragione: Ganesha, il dio con la testa di elefante che rimuove gli ostacoli e benedice ogni inizio (che si tratti di gettare le fondamenta di un edificio, di un viaggio o di un rituale religioso), viene rappresentato sul dorso di un topolino. 
    Mi vergogno un po’ del mio scatto nervoso, da figlia dell’occidente, che magari l’ha offesa o, peggio ancora!, potrebbe aver offeso Ganesha, ma ogni volta che apparirà un topo, lì o ovunque, so che avrò un riflesso analogo e dunque mi metto in pace.
    Anche fuori dall’unica chiesa cattolica che mi è capitato di incrociare nel mio vagare per l’India c’era un microtempio dedicato a Ganesha, in cui i fedeli accendevano incensi prima di entrare e pregare davanti al crocefisso: la benedizione del dio-elefante va chiesta all’inizio, è l’incipit di qualsiasi cosa – compreso il rituale di una religione lontana dall’induismo. 
    Non fa una grinza.

    Storia di Ganesha, Yoga e Mitologia, KeYoga, Laura VoltolinaÈ una divinità talmente amata che esiste un numero incredibile di racconti che lo riguardano, sugli esordi in particolare; scelgo la storia più diffusa e divertente.
    Ganesha Charthurti è la grande festa annuale dedicata alla sua nascita; ci sono incappata senza averlo previsto, per una di quelle strane sincronicità che rendono la vita interessante.

    Così so, per averlo vissuto in prima persona, che la festa dura diversi giorni, che blocca il traffico delle città, che riempie le strade di gente che balla e canta e grida in centinaia di processioni coloratissime che portano rumorosamente a spasso effigi del dio in varie dimensioni, e che coincide con la fine del monsone.

    [come sia viaggiare in India nel periodo dei monsoni, beh, è un’altra storia. Basti sapere che l’esperienza conferma la validità delle indicazioni tradizionali dei saggi vagabondi: loro, nei mesi monsonici, a irrefutabile prova di saggezza certa, si fermavano]

    I monsoni sono attesi, inevitabili e, soprattutto, sono ambigui: vero che servono per nutrire l’agricoltura e dunque sono benedetti, ma sono pure un periodo infausto. 
    Tutto è umido e c’è fango ovunque.
    Appena le piogge iniziano a scemare, la terra si copre di verde e porta con sé suo figlio, colui che rimuoverà tutti gli ostacoli nel cammino verso il tempo dei raccolti.
    Quel figlio è, appunto, l’amato e potente Ganesha.
    I genitori di Ganesha sono Shiva e Parvati, e la loro storia d’amore è già stata narrata QUI.
    Parvati è l’energia della Vita, Shiva è il dio dello Yoga e della Danza, il Distruttore.

    [Una volta, un curioso mi ha obbiettato ‘Come, il tuo dio preferito è il Distruttore?’
    Ebbene, sì. L’energia di Shiva è quella che ci permette di allargare, se non distruggere, le scatolette mentali che ci limitano nella percezione della nostra Interezza. Alcuni le chiamerebbero, queste scatolette, ‘ego’]

    Comunque Shiva è una qualità energetica (da qui in poi: ‘divinità’) molto disponibile: se lo raggiungi.
    Non aspetta che tu stia diecimila anni su un piede solo in cima a una montagna, prima di manifestarsi.
    Certo, sta sprofondato in meditazione eoni ed eoni, ed è circondato dai suoi Gana, che sono schiere di creature spaventose, gli Hooligans del paradiso. 
    Fanno paura, i Gana, sono tanti e bruttini, e se ti avvicini a Shiva senza che il desiderio di abbattere i muri del tuo ego sia veramente profondo, allora ti lascerai spaventare. La guardia personale di Shiva avrà fatto il suo dovere, proteggendo la quiete del proprio signore. Se ti avvicini a Shiva con la dovuta sincerità e non avrai paura, i Gana non ti faranno niente e lui risponderà alla tua richiesta.
    Comunque Shiva e i Gana stanno praticamente sempre assieme, tranne quando lui è in meditazione.
    Parvati condivide la quotidianità, lassù sull’inaccessibile monte Kailash dove abitano, con Shiva (quando c’è) e coi Gana (tutto il tempo). 
    A lei, che assiste costantemente alle prove di fedeltà assoluta dei Gana per Shiva, piacerebbe molto avere qualcuno altrettanto devoto
    Inoltre la vita sul tetto del mondo, per quanto amabile nella sua ruvida semplicità, è solitaria. 
    Insomma, Parvati vuole un figlio
    E Shiva se ne sta a meditare nella foresta, o in una grotta irraggiungibile.
    Sicché lei, che è pur sempre a Dea, prende la curcuma che ha usato per strofinarsi la (divina) pelle dopo un bagno, modella un ragazzino e gli dà vita: finalmente ha qualcuno di totalmente suo, il figlio desiderato.
    Il fanciullo si chiama Vinyayaka, che suppergiù significa ‘senza padrone, cioè già dal nome è chiaro che la sua nascita è speciale, priva della collaborazione di un padre.
    Parvati piazza il fanciullo davanti all’entrata dei suoi alloggi e gli ordina di impedire l’accesso a chiunque.
    Quando Shiva ritorna alla grotta della Dea, è sorpreso di trovare un guardiano, mai visto prima, che non lo riconosce e non lo fa passare.
    Preservare la calma quando un ragazzino sconosciuto sbarra l’entrata di casa tua e, colmo dei colmi, proclama di essere figlio di tua moglie, è impossibile anche per Shiva.
    Non può finire bene.
    Il Dio ordina ai suoi Gana di sbarazzarsi del fanciullo.
    Nella lotta che segue il ragazzino sorprendentemente riempie di botte i Gana, così lo stesso Shiva, al colmo della rabbia, finisce per decapitare il povero Vinayaka. 

    Parvati però, adesso chi la sente?
    È furibonda, incontenibile, minaccia di distruggere gli universi e a Shiva risulta chiarissimo che non ci sarà più un solo istante di pace.
    Lei chiede, esige, pretende che Shiva le restituisca il figlio.

    Cosa fatta capo ha’, si dice, e vale anche nell’ipotesi di decapitazione. 
    Quando qualcosa è accaduto, è nel mondo, si può modificare, non cancellare.
    Nemmeno Shiva può.
  • l’amore al tempo delle divinità – seconda parte (Kamadeva)

    avatar” (parecchio prima di essere un film) è il termine usato per indicare le manifestazioni salvifiche di una divinità nel mondo e Visnu è, per contratto, quello della Trimurti (la Trinità indiana composta da Brahma, l’Iniziatore della Vita, Vishnu il Conservatore della VIta, Shiva il Distruttore) il più gettonato ad apparire ogni volta che un Universo sta per collassare anzitempo. 
    vista la vocazione, è naturale che sia lui a seguire  pazientemente Shiva nella sua danza selvaggia e disperata.
    ogni volta che può, Visnu taglia un pezzo del corpo senza vita di Sati: spera che, quando Shiva si ritroverà senza il cadavere tra le braccia, si fermerà, finalmente, e allora la Dea potrà rinascere.
    così sulla terra cade una pioggia di parti della Dea (52, per alcuni 108, comunque un bel po’), e i luoghi in cui cadono, lungi dall’essere il raccapricciante teatro di una scena splatter, saranno invece per sempre sacri e benedetti dalla Dea.
    [comunque non sono solo le Dee a venire affettate: infatti l’episodio della Dea fatta a pezzi ricorda da vicino un’altra storia, quella “mediterranea” di Iside e Osiride, solo che lì è il Dio, Osiride, a venir e ucciso smembrato in 14 parti (numero associato ai cicli lunari: il tempo che la luna ci mette a crescere e calare), creando altrettanti luoghi sacri].
    quando Shiva si accorge che il corpo di Sati non c’è più, si toglie dal mondo ben deciso a non tornarci, sprofondando in meditazione nei reconditi meandri di un picco montuoso. 

    in India, però, niente è eterno,  nemmeno la morte:  la Dea rinasce.
    stavolta da re Himavat (l’Hymalaya), con il nome di Parvati, che infatti vuol dire montagna.
    e di nuovo dimostra fin dall’infanzia una vera e propria fissazione per Shiva. lo prega in continuazione, ne adora l’immagine come le ragazzine di un  tempo veneravano i poster con le effigi dei cantanti dell’epoca (mi accorgo – sic! – solo ora che ignoro se gli adolescenti contemporanei conservino quest’usanza vetusta o se l’abbiano sostituita con altro…).
    qui entra in gioco uno dei rishi, che sono i saggi coi superpoteri: si chiama Narada.
    per una serie di circostanze (che naturalmente stanno dentro un’altra storia), Narada è destinato a viaggiare senza tregua tra i vari mondi. una sera lo trovi a cena con Visnu e Lakshmi, la mattina dopo se ne sta sulle rive del Gange in compagnia dei bramini…non solo Narada sa il fatto suo, ma è anche sempre informatissimo sulle ultime novità dei tre mondi.
    nel suo girovagare, arriva sull’Himalaya e predice a Parvati e ai suoi genitori che la fanciulla è la predestinata compagna di Shiva; stavolta il padre della Dea è contento della notizia e, benché si sappia che Shiva è pietrificato dal dolore e non degni di uno sguardo non dico le donne, ma nessuno al mondo, Himavat decide di accompagnare Parvati presso il Dio.
    infatti, combinazione!, Shiva per il suo ritiro ha scelto proprio una delle montagne che stanno nel regno di Himavat, e siccome il re fa in modo che la sua meditazione non venga mai turbata, Shiva ricambia la gentilezza accogliendo la richiesta che Parvati rimanga presso di lui per servirlo.
    anche se Shiva acconsente, non gli scappa un’occhiata a questa bellissima fanciulla, e tantomeno si accorge che in lei, in Parvati, Sati ha ripreso vita. 
    vedendo che Parvati veniva accompagnata alla montagna di Shiva, l’ansia dei deva si era placata, solo per lasciare nuovamente posto alla disperazione: la meditazione del Dio è troppo profonda, non si riesce proprio a riportarlo nel mondo.

    tra i deva c’è Kama, il dio del desiderio [siamo abituati a conoscerlo come Eros].
    è un bellissimo giovane, armato di arco e frecce fiorite, dalla mira infallibile e dal risultato certo: chiunque venga colpito dai suoi strali, cede al desiderio.
    proprio chiunque, ci è cascato anche Brahma che lo ha generato (tanto per cambiare, questa è un’altra storia).
    è l’unico che può accelerare le cose, così i deva lo convincono a intervenire.
    Kama parte insieme alla sua inseparabile compagna Rati, la passione,  e per questa missione  si fa accompagnare anche da Vasant, la primavera.
    così, sul quel picco montano gelido e lontano dai clamori del mondo, improvvisamente è tutto un fiorire, cinguettare e soffiar di zefiri che già da solo scioglierebbe anche il cuore più freddo.
    Shiva però non muove un muscolo da eoni, e continua a restare sprofondato in meditazione.
    in questa cornice leziosa e propizia, Kama scocca sicuro il suo dardo e colpisce Shiva, esattamente nel momento in cui Parvati gli si trova davanti.
    i deva si sono precipitati a spiare la scena, nascosti dalla vegetazione.
    tutti trattengono il fiato. 
    Kama, Rati, Vasant, Parvati, i deva
    Shiva apre un occhio, uno solo, il terzo occhio al centro della fronte.
    finalmente si è mosso!
    ma lo sguardo del terzo occhio di Shiva incenerisce, all’istante, Kama, che lo ha disturbato.
    tutti si disperano. 
    i devache non vedono vie d’uscita alla sconfitta da parte di Tarakasura. Rati che, incredula, raccoglie le ceneri dell’amato.


    qualcos’altro, però, è successo: nell’incenerire Kama, Shiva una sbirciata al mondo l’ha dovuta dare.
    e ha visto Parvati.
    e se ne è invaghito, all’istante.
    nessuno può resistere a Kama!

    Shiva però è un po’ confuso dalla situazione e non comprende subito che Parvati e Sati sono la stessa Dea.
    così Parvati, visto che stare presso Shiva non serve a far sì che lui si accorga della sua dedizione, pensa che per vincere il cuore del Dio deve dedicarsi all’ascesi, come aveva fatto un tempo lontano, di cui ha forse pochi e sfocati ricordi: se ne va nella foresta, si nutre solo di foglie, si copre con abiti di corteccia, medita tutto il tempo.
    un giorno, un giovane bramino arriva presso di lei. 
    poiché una ragazza bellissima e certamente di nobile casato che pratica l’ascesi in una foresta è una visione surreale, il bramino le chiede il motivo della sua presenza lì.
    Parvati spiega che sta cercando di attirare l’attenzione di Shiva.
    il bramino non crede alle sue orecchie: ma come?!? una principessa innamorata di quel dio così poco presentabile?
    mai parlar male dell’amato a una fanciulla innamorata: Parvati a momenti lo strozza.
    il bramino, però, non è un vero bramino, è Shiva travestito che, incredulo, ha messo alla prova l’amore di Parvati; la reazione della Dea gli basta per manifestarsi.

    il racconto finisce qui, con l’unione felice di Shiva e Shakti, con la certezza che, prima o poi, il demone Takasura potrà essere vinto dal figlio di Shiva e con il povero Kama che, su gentile concessione di Shiva che lo ha incenerito, rinascerà presto. per la cronaca anche Daksha, il padre di Sati, verrà resuscitato da Shiva e, al posto della testa che gli è stata mozzata, avrà per sempre quella di una capra.

    i miti, lo sappiamo bene, raccontano di noi, di ciascuno di noi.
    ci parlano oltrepassando gli schemi, superando le rassicuranti logiche della mente raziocinante.
    vanno dritti alle viscere.
    l’amore tra Shiva e Shakti è la storia di una scoperta, dell’incontro tra aspetti prima sconosciuti.
    non basta un contatto fugace, non basta l’intuizione dell’esistenza di qualcosa d’altro: l’elemento incontrato va integrato, perché gli aspetti di noi che non comprendiamo del tutto causano distruzione e sofferenza.
    Shiva e Sati non vengono riconosciuti da Daksha e finisce male: Sati implode e si uccide; Shiva esplode e distrugge tutto ciò che trova. 
    è la disintegrazione totale.
    le cose cambiano solo quando entra in gioco Kama, il Desiderio, l’energia suprema, il motore della Creazione, della Vita.
    è la divinità più potente, tanto che non c’è elemento che possa resistergli: senza desiderio, il mondo non esisterebbe.
    Kama è il primo movimento, è la prima scintilla alla Vita. 
    è il desiderio muoverci e a muovere il mondo.
    ma mettere in campo Kama non è una passeggiata: serve Tarakasura, il rischio del collasso totale.
    solo allora Kama interviene e ci spinge oltre i nostri limiti, oltre le nostre paure, oltre i nostri timori.
    solo allora Shiva e Shakti possono incontrarsi e integrarsi reciprocamente, davvero.

    solo allora il mondo può iniziare, ancora una volta.
    [prima parte qui]

  • l’amore al tempo delle divinità – prima parte (Shiva e Sati)


    cosa significa l’amore tra il Dio e la Dea?

    che conseguenze ha nella percezione di noi stessi e nel nostro modo di attraversare le esperienze della Vita?
    chi è Shiva?
    chi è Sati?
    chi è Parvati?
    cosa c’entrano con lo Yoga, col Tantra?
    ecco la storia.

    Shiva, il Dio, è il principio Maschile (attenzione, NON uomo, ma principio energetico maschile!).
    è un dio strano: sembra un vagabondo, coperto di cenere, seminudo, scalzo, spettinato, con una falce di luna tra i capelli e il fiume Gange che gli sgorga sulla testa (questa, però, è già un’altra storia), adornato con monili di serpenti vivi.
    se ne sta eternamente raccolto in meditazione in qualche picco montano, inaccessibile quanto lui.
    la Dea, la Shakti, è la potenza, l’energia, è la Vita, il principio energetico Femminile.
    facciamo iniziare la storia nel momento in cui Brahma, che per l’appunto è il dio dell’inizio, chiede alla Dea, alla Shakti, di incarnarsi in una donna e portare Shiva nel mondo, nella Vita, distogliendolo dalle sue pratiche ascetiche (le motivazioni di Brahma stanno in un’altra storia ancora).
    La Dea accetta e sceglie di nascere al mondo come figlia di Daksha: questo signore è un re arcinoto ed è nientepopodimeno che figlio di Brahma stesso.
    Daksha è un fervente e rigoroso adoratore della Dea, e la sua gioia è enorme quando riceve in sogno una visita proprio della Dea in persona, che gli dice “ho scelto te e la tua sposa come genitori, mi incarnerò nel grembo di tua moglie. sarò vostra figlia ma, attenzione: non dimenticarti mai che anche come tua figlia, sarò pur sempre la Dea. trattami con rispetto perché, se non lo farai, me ne andrò immediatamente”.
    non fa fatica a promettere, Daksha.

    così nasce Sati, la Dea incarnata.
    è una spettacolare principessa, una meraviglia della natura per bellezza, saggezza e intelligenza.
    Daksha è felice e non vede l’ora di maritarla a qualche valoroso re del circondario.
    ne arrivano a ondate, di pretendenti, da tutto il mondo. ciascuno incantato dal  fascino di Sati, ciascuno chiedendola in sposa.
    solo che lei, Sati, rifiuta tutti.
    ha un pensiero fisso: da quando è nata, lei vuole solo Shiva.
    il che è complicato, dato che lui, Shiva, se ne sta per l’appunto in meditazione sulla montagna più alta del mondo, lontano da tutto e decisamente inadatto alla vita di corte che una principessa dovrebbe condurre.
    ma Sati è irremovibile.
    o Shiva, o niente.
    Daksha si deve arrendere all’evidenza: Sati non sposerà alcun re.
    la stessa Sati decide di lasciare gli agi delle reggia paterna e di ritirarsi in meditazione nei boschi, pensando che l’unico modo per incontrare Shiva sia seguire le stesse pratiche ascetiche che il Dio conduce.

    da principessa ad eremita, la Dea incarnata pratica il digiuno, la meditazione e l’ascesi come se non avesse mai fatto altro in vita sua; con tale concentrazione da surriscaldare gli iperurani dove i deva dimorano.
    lassù finiranno arrostiti se non si mette fine in qualche modo alle pratiche di Sati, e tutti allarmati i deva chiedono a Shiva di aiutarli. il mestiere di un dio è ascoltare le suppliche e esaudirle, e Shiva esce dalle sue austerità: nota Sati, se ne innamora e i due convolano a nozze.
    …e vissero felici e contenti? nemmeno per sogno.

    infatti c’è chi non è per niente contento di questo finale: Daksha, il padre di Sati.
    c’era stato un piccolo “misunderstanding” tra i due, in passato, del tipo che ti capita quando incroci qualcuno che forse non sei sicuro di riconoscere o che ti riconosca e quindi passi oltre senza rivolgergli nemmeno un cenno di saluto, magari fingendo di non averlo notato.
    beh, la prossima volta che vi capita, ricordatevi di questo mito.
    e salutate per primi (l’episodio è di per sé un’altra storia ancora).
    insomma tra Daksha e Shiva c’è della ruggine; quel genero sporco, disordinato, impresentabile e indifferente alle cerimonie, a Daksha non va proprio a genio.
    e un bel giorno decide di vendicarsi organizzando una grande cerimonia rituale.
    invita tutti: tutti i deva, Brahma e Visnu (che insieme a Shiva compongono la Trimurti, la trinità di divinità più potenti delle altre), i rishi (i saggi dei tre mondi, dotati di superpoteri divini), i re….tutti sanno del grande rituale, tutti sono stati invitati: ciascuno avrà la propria parte.
    [perché le divinità nei rituali ricevono un’offerta, ed è dall’offerta che traggono nutrimento.
    in fondo, a un dio che non venisse pregato da nessuno, cosa resterebbe?]

    ci vanno tutti; tutti tranne Shiva e Sati, che invece non sono stati invitati.
    naturalmente a Shiva non potrebbe interessare meno della cosa, ma Sati decide di andare da suo padre e capire come mai non li ha chiamati.
    quando si presenta, scopre che non è affatto una dimenticanza: Daksha intendeva proprio umiliare Shiva escludendolo dal rituale,  infatti la parte di offerte normalmente destinate a Shiva non c’è…
    Daksha tratta Sati con freddezza, le dice che quel suo marito che se ne va a zonzo per campi crematori, cosparso di ceneri, non usa abiti ma una pelle di tigre intorno ai lombi (un po’ Tarzan) e porta ogni sorta di serpenti addosso, non è degno per niente di stare accanto alle altre divinità.
    in ogni caso organizzare il più grande rituale di tutti i tempi senza tener conto di colui che si era respirato il miasma emerso dal Frullamento dell’Oceano di Latte, rende il rituale stesso inutile, è solo follia.
    una follia con conseguenze pesantissime.

    avete presente quando si dice “offendersi a morte”? beh, Sati lo fa, alla lettera.
    ricorda di essere l’incarnazione della Dea.
    ricorda di aver avvisato Daksha, prima di nascere, che mai avrebbe dovuto mancarle di rispetto, cosa che invece è appena accaduta.
    e si uccide: è la perfetta Yogini e chiude immediatamente tutti i chakra: muore all’istante.

    già che la Dea si uccida sarebbe un epilogo tragico, ma ancora non è finita.
    siccome le disgrazie non arrivano mai sole, mentre tutti i partecipanti al rituale sono raggelati dallo spettacolo del cadavere di Sati, arriva Shiva.
    il quale non è certo noto per il suo buon carattere; figurarsi come può reagire al suicidio della moglie   uno che di mestiere fa il Distruttore!
    dalla sua rabbia nasce Virabhadra: un demone feroce e invincibile, che distrugge tutto.
    mena a destra e a manca, spacca teste, taglia a pezzi chiunque si trovi sul suo cammino.
    Daksha è il primo a rimetterci la testa.
    la furia sembra inesauribile, finché, all’improvviso, Shiva si trova davanti al cadavere di Sati.
    si raggela, e la rabbia cieca lascia il posto al dolore, al lutto, alla disperazione.
    Virabhadra scompare.
    il Dio prende in braccio il corpo di Sati e inizia a vagare per il mondo, piangendo disperato.
    danza la Tandava, Shiva: la danza della distruzione, col cadavere dell’amata in braccio.

    i deva sono in scacco: finché Shiva non si stacca dal cadavere di Sati, al quale il potere del dio impedisce di decomporsi, la Dea non potrà reincarnarsi.
    ed è invece urgente che la Dea torni nel mondo, perché nel frattempo il terribile asura (demone) Taraka sta sconfiggendo i deva.
    come Mahishasura, anche Tarakasura si è meritato, sempre da Brahma, l’esaudimento di un desiderio.
    ma, più astutamente rispetto al demone-bufalo, ha chiesto di poter essere sconfitto solo da un figlio di Shiva e Shakti, ben sapendo che Shiva se ne stava da eoni in meditazione sul monte più inaccessibile del cosmo e ritenendo impossibile che la Dea potesse svegliarlo. 
    il desiderio è stato esaudito e ora la situazione è tragica: Sati è morta, la Dea non può incarnarsi di nuovo finché Shiva resta abbracciato al cadavere, il che rende impossibile il concepimento di colui che potrà sconfiggere il tremendo Tarakasura, che intanto sta facendo il bello e, soprattutto, il cattivo tempo tra i deva.

    [continua]

  • il frullamento dell’oceano di latte – prima parte (il dio dalla gola blu)

    questo mito inizia con una promessa. una promessa fatta in tempi lontani, in cui, tanto per cambiare, i deva (dei) e gli asura (antidei) se le danno di santa ragione in una guerra infinita e sfinente: in palio c’è – nientepopodimenoché – il dominio sui tre mondi.  entrambi gli schieramenti sono ormai fiacchi e indeboliti, ma gli asura sono decisamente in vantaggio: i deva hanno un disperato bisogno dell’Amrita, il nettare dell’immortalità.
    infatti nella notte dei tempi gli dei non sono nemmeno ancora immortali. vivono molto, molto a lungo, è vero, ma la morte li prende sempre e soffrono di tutte le lacerazioni che la guerra prolungata lascia dietro di sé.
    il fatto è che l’Amrita se ne sta immersa nell’immenso Oceano di latte, l’oceano senza sponde di prima dell’inizio, dove tutto è contenuto: ogni cosa è lì, intimamente mescolata a tutte le altre che ancora devono venire ad esistenza.
    ma come si fa a tirar fuori, da quell’enorme marasma opaco, il prezioso nettare?
    essendo latte, si può frullare (per la precisione, zangolare), proprio come si farebbe per tirarci fuori il burro.
    bello.
    ma frullare un immenso oceano non è mica come zangolare un secchio di latte!
    “per riuscirci, alleatevi con gli asura”, consiglia Vishnu ai deva.
    questa è la promessa che da vita alla storia: i devapromettono agli asura, in cambio di collaborazione, di dividere con loro il prezioso nettare.
    una promessa pericolosa, difficile da mantenere.
    i deva borbottano tra loro su questa inedita cooperazione, ma ci si penserà dopo a come sistemare le cose, dopo, quando avranno la coppa dell’Amrita in mano.
    ora l’urgenza è tirarla fuori dall’Oceano.
    gli asura, sfiancati dalla guerra e sedotti dalla prospettiva di diventare invincibili, accettano subito di dividere fatiche e premio finale con gli avversari di sempre.
    l’impresa è immane.
    per costruire la più grossa zangola mai esistita decidono di utilizzare, come perno, il monte più alto dell’universo: il monte Mandara.
    non è roba da poco: deva e asura scavano le radici della montagna, per estirparla dal suo sito, ma scavare come matti non basta perché non riescono, nemmeno tutti insieme, a trasportarlo.
    il monte scivola, tentenna, cade, schiaccia e non si lascia trasportare. non ce la farebbero mai se l’enorme Garuda, l’aquila divina, non lo prendesse con i suoi artigli, portandolo sa solo al centro dell’Oceano.
    per fabbricare, però, una zangola non basta avere il perno adatto: serve anche una corda da avvolgere intorno al monte.
    qui entra in gioco Vasuki, il re dei serpenti, gigante quanto il monte Mandara, che sembra proprio fatto apposta per essere la fune del frullatore cosmico.
    i deva tengono la coda del serpente, gli asura la testa, e tirano a turno.
    oooh issa, oooh issa!
    la montagna  inizia a ruotare, prima piano ma, man mano che l’inerzia cede, sempre più in fretta…schiuma, ondate di latte,
    oooh issa, oooh issa!
    onde sempre più agitate, il vortice intorno al monte Mandara inizialmente è timido, ma via via diviene più profondo,
    oooh issa, oooh issa!
    tutti sudano faticano in modo inesprimibile.
    col progredire del lavoro, il fiato di Vasuki diventa caldo, poi più caldo, poi rovente, una fiatella da paura!
    gli asura, che proprio dalla testa lo tengono, maledicono l’ingenuità di essersi lasciati convincere dai deva che l’enorme testa di Vasuki fosse la parte più nobile, e quindi la più ambita, da maneggiare.
    il peggio, però, deve ancora venire: infatti il povero Vasuki, così stiracchiato tra testa e coda, inizia a sputare il suo terribile veleno e la prima cosa ad emergere dal frullamento dell’Oceano di latte è proprio il suo temibile miasma, che rischia di contaminare l’Oceano intero, distruggendo tutto il suo contenuto e avvelenando tutti, deva e asura compresi.
    e adesso?
    tutto è perduto?
    i deva chiedono a Shiva aiuto e protezione dato che, in quanto distruttore, è l’unico che possa salvare la situazione.
    il mestiere di una divinità è di ascoltare le preghiere e assecondare le richieste che le vengono rivolte e Shiva, che sa fare il suo mestiere, usa l’unico modo possibile per esaudire la supplica: si respira da solo tutto il veleno, trattenendolo in gola. 
    non rimane totalmente incolume, però, Shiva.
    assorbire il miasma perché il mondo possa esistere gli lascia un segno indelebile, e la sua gola diventa, per sempre, blu.
    ma i guai, si sa, non arrivano mai da soli.
    nemmeno il tempo per tirare un sospiro di sollievo (tutti meno Shiva), e ci si accorge con terrore che il monte Mandara sta inesorabilmente affondando…

    [continua]

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