mi è venuto di pensare a lei.
mi capita, naturalmente, ma ieri è stato diverso.
attraverso il suo corpo sono arrivata alla luce; anni più tardi (o un attimo dopo) il suo respiro si è spento sul mio.
ieri mi è venuto di pensarla, e non c’era nostalgia.
con gratitudine, l’ho pensata.
per la fatica fatta nel portarmi in grembo.
per quella sorta di lotta che il mettere al mondo inevitabilmente comporta.
ieri, l’ho pensata senza alcuna sensazione di carenza; ieri, l’ho pensata con pienezza, per ogni cosa ricevuta e, soprattutto, per quelle ore trascorse, insieme, a nascere.
Autore: Laura
-
trentasette
-
trata…che? trataka!
Potrebbe sembrare il suono di un’articolazione che si spezza mentre cerchiamo inutilmente di annodare le gambe come un bretzel.
Invece significa “guardare fisso“, e difatti si pratica proprio guardando fisso un punto, un oggetto o la fiamma di una candela (quest’ultima è la mia ‘versione ‘ preferita!), ed è una tecnica efficacissima che la saggezza dello Yoga ci ha regalato per aiutarci a migliorare la capacità ci concentrazione, aumentando la nostra stabilità mentale. Per gli appassionati di chakra, sviluppa le potenzialità del cosiddetto terzo occhio.
Tra le altre cose, è utile per migliorare i piccoli difetti visivi (rafforza il nervo ottico e i muscoli che controllano i movimenti oculari; pulisce e lubrifica i condotti lacrimali prevenendo congiuntiviti e compagnia bella).
Pronti a provare?Le uniche raccomandazioni da ricordare sono:
1. Continuare a respirare! Lo so che sembra banale, ma quando fissiamo lo sguardo in in punto (che sia lo schermo del pc, oppure l’autostrada su cui stiamo guidando…) tendiamo, spesso istintivamente, ad accorciare tantissimo il respiro, il che riduce l’ossigenazione di tutti i nostri tessuti, compresi i delicati muscoli degli occhi.
Insomma perché rischiare, al termine di una pratica che in realtà rilassa e potenzia lo sguardo, di avere invece gli occhi stanchi come dopo aver guidato da Venezia a Barcellona senza soste? Respiriamo!2. Togliere le lenti a contatto, se le utilizziamo. Fissare lo sguardo senza sbattere le ciglia le “asciugherebbe” troppo e, come per il punto precedente, non ha senso finire dall’oculista per rimediare a una pratica che potrebbe, invece, aiutarci a migliorare la vista.
3. Lasciare la mandibola ‘morbida’ (chi è abituato a lavorare con me avrà certamente presente il mio famoso mantra ‘lascia spazio tra i denti sopra e i denti sotto’, dato che lo ripeto fino a rischiare la noia; è importante perché le tensioni della bocca sono tensioni anche del collo e, invece, provare ad esplorare una modalità di lavoro su di sé che, per una volta, non comporti lo ‘stringere i denti’ sicuramente migliora la qualità della respirazione, e dunque anche dell’ossigenazione dei tessuti, compresi quelli degli occhi che sono strutture affascinanti e delicate).4. Quando la pratica vera e propria è completata, ancora con gli occhi chiusi, appoggiare i palmi delle mani sulle palpebre (palming), senza schiacciarle ma creando un confortevole spazio buio in cui gli occhi, dopo lo sforzo di concentrazione, si possono riposare per alcuni minuti (sì, ho scritto minuti, non secondi!).Pronti?Sediamoci comodamente, la cosa importante è che la schiena sia correttamente allungata.Mettiamo un cartoncino con un semplice disegno a una distanza dagli occhi che renda possibile vederne bene i contorni; chi indossa gli occhiali può toglierli, dato che questo è (anche) uno degli esercizi di Yoga per la vista.
Il cartoncino va appoggiato in modo da essere ben visibile e all’altezza del viso: infatti così possiamo essere sicuri di avere il collo ben allungato.
Oppure accendiamo una candela, sempre sistemandola a terra o su un tavolino a una distanza da noi compatibile con una buona distensione del dorso.Chiudiamo gli occhi e facciamo alcune respirazioni per iniziare a “staccarci” dall’esterno.Quando ci sentiamo pronti, apriamo gli occhi e osserviamo con attenzione i contorni della figura sul cartoncino. Poi scegliamo il punto centrale, che nel caso del disegno che ho riprodotto qui è il centro del cerchio, e lì lasciamo il nostro sguardo, mantenendo le pupille e le palpebre ferme.
Se stiamo usando una candela, fissiamo la fiamma.Ricordiamoci di respirare…Quando gli occhi cominciano a lacrimare, rimaniamo concentrati ancora un poco a palpebre aperte: qui stiamo “pulendo” i dotti lacrimali.Prima di incontrare la stanchezza, chiudiamo gli occhi e rilassiamoli.Non finisce mica qui!Adesso viene il bello: portiamo l’attenzione sull’immagine che si forma dietro le palpebre chiuse: si tratta dell’impronta, come un negativo, della figura impressa sulla retina.Mantenere questa immagine definita e vivida il più a lungo possibile: il segreto, anche qui, è continuare a respirare.Ogni volta che l’immagine svanisce, si modifica o si sposta, il respiro ci aiuta a rivederla.Quando l’immagine svanisce del tutto, facciamo qualche minuto di palming (punto 3 delle raccomandazioni iniziali).
Dopo qualche settimana di pratica costante, raccontatemi come è andata!* per approfondimenti: Yoga per la Vista di Lucia Gaudenzi e Gianfranco Guerra -
rewind
Oggi vorrei poter tornare indietro nel tempo.Non all’età dorata dei ricordi d’infanzia.Non ad una vacanza speciale.Non alla scuola elementare, e nemmeno al primo viaggio da sola.Oggi vorrei tornare indietro, ma non molto, solo una manciata di minuti.Vorrei tornare indietro, ritessere il tempo e riacciuffare dall’etere l’email prima, solo un attimo prima, di quando il tasto “invio” è stato, irrimediabilmente, schiacciato.Lasciando visibili tutti i recapiti della newsletter.Dicendomi chiaramente che, stamattina, il famoso momento presente, il qui-ed-ora, mi è sfuggito.Chiaro monito a continuare nella pratica di concentrazione, che ce n’è ancora da fare parecchia…Mi scuso con tutti per questa disattenzione. -
l’alchimia del benessere: dal corpo alla mente (e ritorno) in un weekend
Ci vuole proprio un weekend per riprenderci dal (luuungo!) inverno, climatico e mentale, per usicre dalla fredda gabbia che ci vede spaventati, intirizziti, bloccati…ci vuole proprio un weekend per riattivare le nostre risorse personali e incontrare l’innata capacità di stare bene, quella sana, quella che non impone connessioni wireless, pillole, realtà virtuali, schermi televisivi…
Allora abbiamo trovato il posto adatto (questo qui), in unluogo speciale, e abbiamo pensato a una formula che ci aiuti a migliorare la nostra condizione (psico)fisica, insomma che ci riporti a sperimentare l’armonia con noi stessi e con la natura di un luogo fuori dal comune.Chiaramente lo Yoga c’entra, eccome!Infatti avremo il sabato mattina lo Yoga del risveglio: nuove energie del corpo e della mente. Sabato prima di cena e domenica mattina le sessioni di Yoga avranno come tema Alchimia del benessere: forme e respiri semplici ed efficaci per l’equilibrio del corpo e della mente.Il programma dettagliato è questo.(sbrigatevi a confermare, le iscrizioni si chiudono domenica 23 maggio!)
articolo pubblicato su KeYoga! – il blog -
l’otre crepato, ovvero come nascono i fiori nel deserto
“Faceva caldo.Il sole era alto e sembrava bruciare tutto.Non riusciva quasi a tenere gli occhi aperti e la luce e il calore annientavano anche i pensieri; per fortuna conosceva a memoria il sentiero, talmente bene che poteva percorrere quell’arido cammino anche con gli occhi chiusi.Doveva camminare lungo quella via polverosa tutti i giorni, per avere l’acqua.Il pozzo era lontano da casa, e anche partendo presto, sulla strada del rientro il sole scottava, bruciava, appensantiva i due otri colmi d’acqua che teneva appesi a un bastone, uno di qua e l’altro di là, sulle sue spalle.Un giorno, uno degli otri si incrinò: una grosssa crepa si affacciò sul suo ventre panciuto, senza, però, spaccarlo.L’altro otre era perfetto, lucido, senza un’incrinatura nè una sbavatura. Arrivava con la stessa esatta quantità d’acqua che aveva raccolto, nonostante il traballare dei passi sul sentiero rovente.Invece, dalla fessura di quello scheggiato usciva acqua, un poco ad ogni passo. Al termine di quel viaggio quotidiano, ne conteneva meno di metà.L’otre crepato si rammaricava di perdere tutta quell’acqua preziosa.Un giorno chiese alla ragazza:“Perchè non mi sostituisci? Ti spezzi la schiena per prendere l’acqua, poi quando arrivi a casa ne hai solo metà…ti affatichi tanto per metà del risultato”.La risposta era colma di stupore:“Non te ne sei accorto, dunque! Guarda questo sentiero sempre brullo e assetato: da quando ti sei incrinato, è fiorito. L’acqua che perdi non è affatto persa: permette ai semi nascosti nella terra di germogliare. E camminare tra i fiori e i colori è talmente bello che quasi non sento la più la mia fatica”.
E lo Yoga?
C’entra, c’entra. Lo yoga è un fantastico modo per conoscere bene se stessi e per comprendere le proprie “incrinature” e, infatti, il termine Yoga significa unire, tenere insieme tutte le parti (non solo corporee, anche se il praticante di yoga viene sempre rappresentato tutto annodato in posizioni impossibili!) che ci appartengono. Per questo, il mondo dello yoga è pieno zeppo di storie sempre diverse e sorprendenti…
*Ringrazio per questa storia Erica, attenta partecipante a un seminario di qualche mese fa, che condivise questo racconto.
articolo pubblicato su KeYoga! – il blog -
dieci centesimi
Pubblico volentieri il contributo di Eva, a valle del suo ultimo viaggio in Ruanda.“Riflessioni sulla “normalità” dal Ruanda.
10 centesimi: una monetina che scivola dalle tasche e che, soppesando lo sforzo sproporzionato rispetto al suo valore, forse nemmeno ci chiniamo a raccogliere.
10 centesimi: il valore di una vita per un neonato accolto dall’ospedale di Ruhengeri affetto da diarrea che può essere curato e salvato con una terapia che costa 75 franchi ruandesi (meno di 10 centesimi di euro).
In queste intense settimane trascorse sotto l’equatore, in terra ruandese, non c’è stato un giorno in cui non mi sia interrogata sul concetto di “normalità”.
L’accoglienza in questi luoghi, nelle centinaia di mani strette, nelle famiglie conosciute, nei sorrisi spesso imbarazzati, è sempre stata stupefacente; quasi a confermare che tutti i dolori, le tragedie, le ingiustizie vissute, ancora oggi, da questo popolo fanno parte della normalità, della quotidianità, di una aberrante abitudine.
Abitudine a soffrire, a lottare silenziosamente, dignitosamente, a cercare in vari modi di scostare quella pesante coltre intessuta di sofferenza che ricopre ogni casa, ogni brandello di famiglia, ogni situazione che urla ingiustizia, dipingendovi sopra un quadro di normalità.
La normalità diventa di una spontaneità, di un candore e genuinità che quasi ti convince a contatto con i più piccoli: miracoli viventi, emblemi di sopravvivenza in condizioni che per noi “muzungu” (uomini bianchi) sono inaccettabili.
Forse un giorno hanno vissuto quella stessa fiducia nella Vita anche quegli adulti scampati al genocidio; ognuno porta un proprio personale drammatico fagotto di perdite familiari, di relazioni drammaticamente interrotte e di figli mai più ritrovati. Ora in quegli occhi si scorge, dietro ogni sguardo carico di dignità e di voglia di risollevarsi, una sofferenza sedimentata, gestita, elaborata ma che mai potrà essere annullata. Potrà mai diventare “normale” aver visto i propri figli, moglie, marito, vicini di casa brutalizzati, assassinati, violentati, fuggiti nei campi e mai più ritornati?
Oggi è normale per molte famiglie farsi carico di qualche orfano: i nuclei che noi definiremmo “anomali” sono costituiti da famiglie allargate dove sono stati accolti i figli dei vicini, dei parenti o di qualche sconosciuto scomparso. La media di 6-7 figli è la normalità. La famiglia di Faustin, arriva a 14 figli dei quali 10 accolti. Faustin non ha voluto che il lutto e il dolore per la perdita dei due figli e della moglie divenisse la “normalità” della sua vita.
Attraversando la frontiera con il Congo, un giorno che questo concetto di normalità inizia a catturarti, sei nuovamente costretto a cambiare idea. La linea di confine tra il normale e l’anormale si sposta ancora e non solo idealmente. In un paio di chilometri ti accorgi che il peggio non era al di qua della linea.
A Goma la “normalità” è ricostruire la vita in un formicaio brulicante che si dipana confusamente sopra quella città sommersa dalla colata lavica del 2003. Qui è normale vivere dove tutto è nero, tutto è polvere che si insinua in ogni fessura di pelle, dove il traffico selvaggio si inerpica su e giù per le colline laviche, non esiste una strada asfaltata, non c’è una casa in muratura. Tutto è esploso come un puzzle mandato all’aria da lapilli e magma…anche questo è normale.
C’è una cosa però che ho percepito come non-normale: un’attitudine, una risposta, un movimento nuovo, fuori dall’ordinario. È la voglia di riscatto, di una vita diversa, è la risposta all’offerta di una opportunità nuova: quella di migliorare, di crescere, di imparare nuovi modi di sfamare i propri figli.
Le opportunità che ho visto offerte in questi giorni, attraverso gli interventi portati avanti con il sostegno della Caritas di Ruhengeri, sono tutte colte da occhi, cuori, mani che hanno voglia di vedere, sentire, agire in modo nuovo.
Imparare a coltivare un pezzetto di orto; imparare a fare la pasta in casa per avere un piccolo introito; imparare, rinchiusi in un piccolo e soffocante bugigattolo, a produrre artigianalmente calzature; educare se stessi e poi gli altri a migliorare le proprie condizioni igienico-sanitarie per prevenire la diffusione dell’AIDS, il cui tasso di crescita continua a galoppare.
Tutte queste proposte le ho viste accolte con grande speranza negli occhi, con grande sacrificio per doversi spostare dal proprio villaggio e famiglia. Ho visto donne presentarsi puntuali all’appuntamento in città per l’inizio di un corso di formazione dopo aver percorso con i propri piedi e gambe chissà quanti chilometri tra le mille colline ruandesi e poi stipate dentro pullman che a occhio nudo caricano il doppio della loro portata massima. Penso alle nostre auto mono-passeggero ed ai loro adirati guidatori perché c’è coda anche oggi in tangenziale…Ancora una volta: qual è la normalità?
Mi ritorna alla mente il gesto di una donna beneficiaria del progetto di micro-credito che ha appena ricevuto 15.000 franchi (circa 19 euro) per iniziare una piccola attività che potrà risollevare le sorti della sua famiglia. Estrae da sotto il suo telo-gonna una consunta banconota da 5.000 franchi (poco più di 6 euro), la tiene stretta vicino al grembo e la contempla, rigirandola quasi di nascosto tra le dita callose. Un grande tesoro che non ha mai posseduto, né solo visto in tutta la sua vita. Tra sei mesi dovrà restituire il “capitale” con l’interesse di 1 euro. Quei venti euro diventeranno un nuovo tesoro elargito a qualcun altro.
Ripensando a quella fotografia che è impressa nella lunga pellicola dei miei ricordi: sento la certezza, ancora una volta, che spostare la linea di confine è un compito individuale di ciascuno. I dieci centesimi lasciati a terra sono come quella famosa goccia nell’oceano che fa la differenza non solo tra il normale e l’anormale ma tra luce e buio.” -
una ghirlanda fatta di Yoga
Yoga Ratna, il gioiello dello Yoga – Ed. Feltrinelli – G.Cella
Non ci capivo quasi niente.
Davvero.
Mi usciva il fumo dalle orecchie. Era la lettura meno adatta alla mia completa inesperienza: il mio primo approccio allo Yoga con un libro che, di certo, non è stato pensato per principianti assoluti, tantomeno autodidatti.
Per fortuna la scrittura speciale e l’approccio di Gabriella Cella sono una calamita e così, anziché scappare da un testo difficile, m’innamorai di una disciplina.
Che fosse un saggio bellissimo l’ho scoperto poi, dopo aver messo tra me e quella copertina verde col fiore di loto (era una vecchia edizione…) altre opere per principianti.Che lo Yoga è diverso, e molto, da un’attività prettamente fisica, si respira subito.
E questo basterebbe già a mettere Yoga Ratna tra i testi (non tanti, per la verità) che parlano davvero di Yoga, quando invece spesso viene (triste ma vero) ridotto a una ginnastica di moda.
Sono state scelte 108 posture (asana), raccontate e collegate come se si trattasse di una ghirlanda, una collana: ogni grano, una forma del corpo.
Si inizia in piedi, poi ci si china, ci si siede, poi ci si trova stesi e, infine, capovolti: una sequenza ideale, armoniosa come una danza. Per ogni posizione è curata la costruzione, la respirazione da tenere ed è indicata la compensazione, anche se non ci sono foto né disegni, il che può rendere il debuttante assoluto, plausibilmente già dubbioso, ancor più titubante (io ne so qualcosa).
Si vede subito la grande precisione del lavoro proposto, infatti sono indicati in modo chiaro i benefici e, soprattutto, le controindicazioni di ogni asana: con una speciale attenzione per tutte le età del femminile (ciclo, gravidanza, menopausa).
Nessun altro autore (o autrice…) riesce ad avvicinare in modo così gentile lo Yoga alle donne.
Ma la caratteristica davvero originale dell’approccio di Gabriella Cella sta nella profondità del cammino simbolico, che infatti è dettagliatissimo.
Ad esempio, chi è Aditi? Ci dice che rappresenta la mitica madre di tutti gli dei (con la rigorosa indicazione delle fonti della letteratura classica indiana), e rimaniamo affascinati nello scoprire che benedice la vita, la natura e scaccia il male. Una posizione introdotta con questa completezza induce a sintonizzarsi sul significato simbolico, e il simbolo prenderà vita dentro di noi, assumendo per ciascuno sfumature differenti.
Ci apre le porte di un mondo multiforme e sfaccettato, e ci consegna la bussola per individuare la nostra via, il nostro Cammino. -
la mappa vivente
I Chakra, l’universo in noi – Ed. Xenia tascabili – M. Albanese – G. Cella – F. Zanchi
In molti (stra)parlano dei chakra.
Purtroppo sono anche in parecchi a (stra)scriverne.
E, come spesso capita, la maggior parte dei libri in materia (sarò stata sfortunata) non è che un triste copia-incolla da altri, più chiari (nel senso di noti e nel senso di comprensibili) testi.
Questo è un piccolo manualetto, apparentemente senza pretese, ed è anche uno dei migliori libri sul tema che mi sia capitato tra le mani. È completo, originale e rappresenta una luce preziosa per chi, nella giungla delle informazioni reperibili in rete o in libreria, cerca una mappa attendibile.
Le autrici, Marilia Albanese, esperta di cultura indiana, Gabriella Cella, maestra di Yoga, e Fiorenza Zanchi, ginecologa, analizzano ciascuno dei chakra principali attraverso un confronto efficace e chiaro tra l’iconografia orientale e la fisiologia occidentale.
Il manualetto, infatti, descrive precisamente i significati simbolici delle rappresentazioni dei singoli chakra. Vengono poi individuate le corrispondenze tra le tappe dello sviluppo filogenetico (che poi è l’evoluzione della vita sulla Terra) e ontogenetico (che invece è lo sviluppo biologico del singolo essere vivente, per intenderci dall’embrione al feto eccetera) e i passaggi evolutivi da un chakra a quello successivo (a salire, nella consapevolezza, nell’evoluzione e nel corpo, dal primo, Muladhara, in su).
Sono indicate le posizioni (asana), i suoni (bija mantra) e le rappresentazioni grafiche (mandala) su cui esercitare la propria concentrazione, per imparare a conoscere se stessi attraverso la conoscenza degli elementi che, come recita il sottotitolo e come viene seriamente spiegato, costituiscono, allo stesso modo, il nostro corpo e il resto dell’universo.
Con un’avvertenza speciale delle autrici:
“E’ chiaro che non saranno sufficienti dei semplici esercizi per risvegliare quella coscienza dei chakra, che sono in effetti delle tappe evolutive nel cammino verso la conoscenza (…) ma possiamo modificare qualcosa del nostro profondo e ampliare la nostra coscienza. Questo, è senz’altro possibile. Impossibile, invece, è spiegare, ad esempio, il “mio” personale cammino, perchè sarà sempre e comunque solo il mio, con la mia visione, acquisita mediante la strada che ho intrapreso. Impossibile è spiegare ad altri la nostra visione, che sarebbe comunque sempre derivata. Impossibile è spiegare il cammino a chi non è pronto per farlo.”
Allora, buon cammino… -
Romagna a testa ingiù (seconda parte)
L’altro residenziale romagnolo sarà ad agosto, sul mare… lo stereotipo in agguato è addirittura doppio.
Allora ho scelto Ravenna, perchè la conosco da tutta la vita e in parte mi scorre nelle vene. Questa è una Romagna poco felliniana, non internazionalizzata dai voli charter, non spoetizzata dai grandi hotel sulla riviera.È la Romagna delle biciclette e dei mosaici, della cordialità diretta e semplice e della natura.E a Savio ho trovato la campagna sul mare, le dune della spiaggia libera, la pineta lungo la costa, l’oasi naturale.Perfino la più sverniciata piadineria lungo la statale dentro è pulitissima e usa farina di kamut, olio d’oliva e bicarbonato anziché indigesto lievito industriale.
Un altro pezzo di Romagna a testa ingiù.