Categoria: esperienze

  • Essere Corpo – ovvero la prospettiva del Corpo, i Guru e la luna piena (di luglio)

    Essere Corpo – ovvero la prospettiva del Corpo, i Guru e la luna piena (di luglio)

    Oggi è luna piena.
    È luglio e, dunque, l’ardita osservazione è che si tratti della luna piena di luglio.
    La luna piena di luglioin India è una luna piena speciale e vabbé che, come mi ha fatto notare un amico ieri sera, l’India è innegabilmente dall’altra parte del mondo, ma resta pur sempre terra natia dello Yoga (nonché, per me, luogo dell’anima e un poco mi si è spaccato il cuore quando, alla chiusura della stagione dei corsi settimanali, con occhi grandi di entusiasmo mi si è chiesto ‘allora, vai in India quest’estate?’, perché no, non ci vado. C’ho alcuni bellissimi ritiri fino a settembre, per fortuna: mi consoleranno), comunque dicevo in India è la Luna Piena dei Guru: d’ora innanzi Guru Purnima.
    E questa festa può avere un significato denso anche per noi, da questa parte del mondo: perché Guru Purnima è dedicata agli insegnanti; Gu-ru: ovvero chi rimuove ‘gu’, l’oscurità e porta ‘ru’, la luce.
    Quelli che ci hanno cambiato la vita.
    Quelli che hanno creduto in noi, che hanno dedicato la propria generosità a condividere la loro visione, perché poi noi potessimo trovare la nostra strada, il nostro Guru interiore, che alla fin fine, sia detto, è l’unico che veramente conta.
    Guru Purnima è una festa dedicata nello specifico a un veggente che adoro: si chiama Vyasa, secondo la tradizione ci ha tramandato veramente un sacco di cose bellissime e, soprattutto, ha dettato il Mahabharata a Ganesha (QUI la prima parte della storia di Ganesha e, col suo aiuto, magari a breve avrò modo di scrivere la fine di quella storia lì e, se proprio mi assiste, anche le vicende che lo hanno portato a collaborare con Vyasa per la stesura del Mahabharata, appunto), che è il mio poema epico preferitissimo.
    Insomma, Vyasa è il mio eroe e non si può proprio evitare di pensarlo quando arriva Guru Purnima.
    Oltretutto alcuni giorni fa, per una serie di coincidenze che mi hanno colta di sorpresa mentre organizzavo tutt’altro nel weekend incipiente, ho trascorso alcune ore a Venezia, tra un vaporetto e l’altro, assieme a Gabriella Cella, la maestra con la quale ho studiato per quattro anni. 
    E certamente lei, a suo tempo, ha creduto in me quando ero molto giovane (e nemmeno davo garanzie, vista l’età, gli studi all’università e un precariato lavorativo – per l’epoca – incredibile, di portare a termine la scuola, dato che 4 anni possono essere lunghi e tosti per chiunque).
    A distanza di tanto tempo, stare assieme su quei vaporetti ci ha lasciato una grande gioia e l’innegabile sensazione di essere sempre state vicine, a prescindere.
    Insomma di Guru Purnima dovevo proprio scrivere, ecco, perché una festività dedicata a chi  ci ha aiutato a crescere ha qualcosa di generoso e forte e vorrei che anche qui ci fosse una festa ufficiale dedicata ai maestri di ogni latitudine.
    Il Guru vero, autentico, infallibile, viene evocato dal lavoro coi maestri che ci hanno trovati, ed è interiore.
    L’intuito che ci indica la direzione, l’istinto che ci guida nelle scelte.
    La luce che brilla dentro.
    Per svelarla, beh, ci sono sì, i maestri in carne e ossa.
    Ci sono anche le persone ‘sbagliate’, gli incontri che avremmo preferito non accadessero, gli eventi e gli ostacoli che ci hanno permesso di modellarci, di trovare energie nascoste in pieghe insospettate dell’anima.
    Proprio oggi, e proprio per onorare i Guru tutti, mi viene da consigliare una lettura.
    È un libro che amo, è un testo svelto, scorrevole, scritto in forma di domande e risposte, in capitoli che (se siete pigri oppure curiosi) non serve nemmeno leggere di seguito.
    Si chiama Essere Corpo, Tea Edizioni.
    L’autore è Jader Tolja, anche lui mio insegnante, di Anatomia Esperienziale.
    Parole agili che forniscono punti di vista ‘incarnati’, ché il Corpo è il vero Guru.
    Essere Corpo è un viaggio attraverso gli aspetti della vita quotidiana, dal vestirsi al nutrirsi, all’abitare, al muoversi, all’allenarsi, alla salute e perfino alla spiritualità…tutto dal punto di vista del Corpo e della  sua consapevolezza.
    A parte le persone che sono abituate a quello che viene chiamato ‘approccio somatico’ e a chi ha già lavorato, ad esempio, con me nello Yoga, che sicuramente troveranno conferme e spunti intelligenti, questo libro farebbe bene anche e soprattutto a chi considera ‘corpo’ come ‘quella parte che sta appesa sotto la testa’.
    Come ben sappiamo, queste persone sono la maggioranza.
    All’interno di questo libro bello, c’è il mio capitolo preferito, una vera e propria ode al Guru interiore: parla – guarda un po’! – degli insegnanti guru.
    Quelli che ‘fanno’ i guru (e, anche qui, come purtroppo sappiamo, sono la maggioranza).
    Delinea chiaramente i pericoli dell’interazione con questi ‘personaggi’, e in modo gentile ma deciso anche le possibilità insite nell’insegnamento autentico come circolo virtuoso il quale, rispetto all’insegnamento-del-guru-farlocco:
    Per chi insegna, ciò significa che una maggiore esperienza porta a maggiore professionalità, che a sua volta fornisce una maggiore gratificazione, che favorisce una maggiore autostima. Grazie a questa dinamica il bisogno di sentirsi speciali o superiori si riduce e questo permette di sviluppare un maggiore senso di realtà, che a sua volta conduce a maggior libertà di espressione e alla realizzazione del proprio Sè.
    Specularmente, chi partecipa a un corso sviluppa più confidenza in ciò che sta apprendendo, la pratica diventa più gratificante e ciò produce una maggiore autostima e minore necessità di figure esterne con cui identificarsi.
    […] perché come si apprende determina quello che diventeremo molto più di ciò che si apprende”.

    Leggendolo, si scopre che può esserci molto più Yoga in un testo che nominerà lo yoga sì e no quattro volte in trecento pagine, piuttosto che in un libro ufficialmente dedicato allo Yoga che poi mostra solo sterili contorsionismi.

    Voglio condividere una parte del saluto conclusivo degli incontri di Yoga, con tutta la gratitudine che esiste:
    mani giunte alla fronte, per ringraziare il nostro Guru – persone, situazioni, occasioni, ostacoli – per gli insegnamenti ricevuti’

    A (tutti) i miei Guru
  • Hai mica detto ‘forza’?

    Hai mica detto ‘forza’?

    KeYoga - Intelligenza del Corpo

    Certe volte capitano email così: quando succede, mi si riempie la giornata di luce e di gratitudine per la generosità verso chi condivide, con te e con gli altri, il proprio punto di vista, la propria rielaborazione di un percorso fatto assieme (nello specifico, questo QUI). Perché, in fondo, il senso di un lavoro sta, anche e soprattutto, nella condivisione.

    Trovare la forza vera
    quella che non è fatica
    che casomai possiamo chiamare energia
    che non è ‘la nostra’ ma che ci connette con qualcosa di più ampio, più completo.
    Ho ritrovato le  tue parole e le ho dette a modo mio.
    Ti volevo ringraziare per questa esperienza, te e le persone che ho incontrato.
    Quando ero a Padova il clima invernale e la conseguente penuria di luce mi avevano fatto pensare che sarebbe stato difficile collegarmi col flusso, col presente in continuità. 
    Uno stato di benessere mi ha guidata, pervasa, anche quando ho lasciato la città.
    Ho avuto il timore di smarrirlo, il flusso, ma no: mi accompagna.  
    E, tornata a casa, ho avuto la meravigliosa sorpresa di percepire una nuova luce che, pian piano, allontana l’inverno.
    A presto, 
    Silvana Salsedo
  • scoprirsi fluidi

    Il Corpo Fluido: seminario Yoga con Laura Voltolina, KeYogaDopo il seminario ho pensato spesso alla fluidità e a quanto siamo liquidi dentro, nel vero senso della parola. 

    Il cervello è sospeso nel liquido cerebrospinale (e mi piace pensare che anche i nostri pensieri siano immersi-sommersi) .. i liquidi dell’occhio ci permettono di vedere … i liquidi delle orecchie di sentire e stare in equilibrio…

    Pensandomi come un corpo fluido, le asana – specialmente quelle di equilibrio – sono non tanto più facili, quanto più lineari e unite

    E più lente, perché ho sempre la tendenza a correre, anche verso il compimento dell’asana perfetta
    Esploro meglio il limite, che non è più una linea netta e marcata ma diventa uno spazio sfumato che si muove e che puoi seguire e, sempre lentamente, spostare. Tipo una pennellata di acquerello, per rimanere in tema.

    Ma anche i pensieri cambiano, se mi concentro sulla loro fluidità. 

    Per un individuo con Vata molto squilibrato come me, il pensiero è aereo, veloce, quasi a raffica, spesso estenuante. 
    Trasformando i pensieri in acqua, o semplicemente immergendoli nel liquido del cervello, si placano da soli e diventano silenziosi, come succede ai suoni quando ti immergi in acqua con tutta la testa. 

    Sicuramente la fluidità ora fa maggiormente parte della mia pratica; del resto, non ho mai cercato di raggiungere la perfezione assoluta ma solamente la “mia” asana perfetta. Quella che non mi fa male, che potrei tenere a lungo senza affaticarmi e che mi permette di respirarci dentro con un respiro fluido. Se mi accorgo che non respiro, allora è il segnale che devo fare (fluidamente) un piccolo passo indietro.

    M.D.

  • la gente mormora, ovvero rassegna stampa (parte 2 – Percorsi Yoga)

    Percorsi Yoga - articolo Laura Voltolina - Insegnare Yoga in contesti speciali
    “Percorsi Yoga” è una bellissima rivista tematica, redatta e pubblicata dall’Associazione Nazionale Insegnanti Yoga (YANI). 
    Tempo fa mi è stato chiesto un breve scritto, pubblicato nel numero dedicato a “Lo Yoga nelle relazioni di aiuto” del luglio 2014, su alcune mie specifiche (e per me preziosissime) esperienze come insegnante di Yoga.
    Eccolo di seguito! 


    LO YOGA A MODO TUO

    “Te la sentiresti?”, mi chiede.

    “Certo! rispondo.
    Lei è la psichiatra del Ser.d (Servizio per le dipendenze) dell’ASL e collabora, in particolare, con una Comunità di recupero da dipendenze; la proposta è di insegnare Yoga proprio lì.
    A fianco dei corsi “classici” di Yoga per tutti, e oltre a seminari di approfondimento, da un paio d’anni insegno Yoga presso la Comunità San Francesco di Monselice (Padova) a un gruppo di persone in recupero da dipendenze da gioco d’azzardo, alcol e sostanze, che qui vengono seguiti anche nella delicata fase del reinserimento. Il corso di yoga si inserisce nel progetto di tutta l’équipe di sostegno composta da psichiatri, educatori e psicologi: di frequente gli operatori partecipano spontaneamente alle lezioni, lo spirito è stato da subito quello della più completa disponibilità ed è stata la psichiatra stessa a chiedere ai dirigenti della Comunità di introdurre lo Yoga per i residenti.
    Da più di tre anni guido anche un corso di Yoga settimanale presso la sede di Padova dell’AISM (Associazione Nazionale Sclerosi Multipla). Visto l’entusiasmo dei partecipanti e i feedback positivi sulla qualità della vita, all’AISM abbiamo tentato di dare maggiore spessore all’esperienza cercando il supporto delle strutture pubbliche per avviare uno studio in merito. Ci abbiamo provato, a suo tempo, contattando il Reparto di Neurologia dell’Ospedale, ma ci fu fatto notare che i medici del reparto erano impegnati in studi finanziati da case farmaceutiche sugli effetti di nuove molecole, e studiare gli effetti dello Yoga non solo non avrebbe goduto dello stesso sostegno economico, ma avrebbe potuto essere in controtendenza rispetto agli interessi in gioco. Le mie considerazioni di seguito sono quindi arricchite dai commenti dei partecipanti più che da evidenze scientifiche, impossibili da recuperare.
    E’ necessario però rispondere a una domanda implicita: perché scegliere di insegnare Yoga in situazioni così delicate?
    Perché credo, visceralmente, che lo Yoga possa davvero essere “per tutti”.
    Non avevo dubbi sul fatto che l’esperienza, per entrambi i gruppi, avrebbe potuto essere costruttiva se solo avessi trovato le chiavi giuste per proporre la pratica in modo adatto; ed ero curiosa di scoprire cosa avrei imparato, io, da questi due ambiti, così diversi tra loro, eppure simili per la caratteristica comune di essere speciali.
    In fondo,  in ogni classe di Yoga il gruppo è sempre nuovo, anche quando è composto dagli stessi partecipanti. 
    Ogni giorno siamo diversi; a guardar bene, siamo diversi ad ogni respiro.
    L’opportunità di seguire gruppi speciali permette ancor di più di accarezzare il continuo mutamento della vita.
    YOGA E SCLEROSI MULTIPLA
    Lo Yoga mi aiuta a riappropriarmi del mio corpo” (P., affetto da SM)
                          Entrano lentamente, sorridono e scambiano qualche parola, stanno sempre molto attenti ai propri passi. Appaiono e scompaiono sedie a rotelle, stampelle, tutori, come per una strana, perfida, magia.
    È un gruppo di circa quindici persone con SM diagnosticata sia nella forma recidivante – remittente, sia nella forma secondaria progressiva. La SM colpisce ciascuno in modo disparato, con intensità variabile e in distretti corporei differenti: è necessario tener conto dell’irregolarità dei sintomi quando si insegna  a persone tutte affette da SM.
    La flessibilità nell’offrire indicazioni è una caratteristica fondamentale dell’approccio con loro, perché ciascuno ha una gradazione di abilità diversa da quella che aveva anche solo la settimana precedente.
    Anche il fatto di praticare con partecipanti tutta affetti dalla stessa patologia permette loro di sentirsi immediatamente a proprio agio:
    Mi piace moltissimo e mi serve molto. Sto insieme a un gruppo di persone nella mia condizione e perciò non fanno domande fuori luogo come invece fa tantissima gente che non ci conosce” (S.)
                          Lo spazio utilizzato è la sala del Centro Diurno della sede dell’AISM: non si tratta di un centro Yoga attrezzato, gli strumenti a disposizione sono tappetini e coperte, le sedie della sala e la parete.
    Si lavora in cerchio, con i tappetini appoggiati al muro, sul quale il dorso può essere sostenuto liberando dalle tensioni e dalla fatica schiena e arti inferiori.
                         Trattandosi di persone che, per la stragrande maggioranza, hanno grosse difficoltà a deambulare, proporre una pratica in piedi, anche brevissima, risulterebbe stancante e frustrante. Le asana in piedi possono essere adattate per essere eseguite su una sedia.
    Ho preso più confidenza con gli esercizi sulla sedia, adesso trovo sollievo alle tensioni delle gambe e ho notato che durante la settimana ho molta più forza ed energia” (D.)
                        Tutti i movimenti che conducono a un’asana vengono scomposti in gesti più dettagliati, più piccoli, e ripetuti con lentezza maggiore, fino a diventare un unico movimento fluido e leggero.
    Lo Yoga non cura la SM ma insegna ad appoggiare l’attenzione sul corpo in modo costruttivo e privo di giudizio: il corpo, fonte di sofferenza e dolore, viene riscoperto anche come depositario di elementi di saggezza. La presenza mentale che si fonda sull’ascolto diventa la chiave per migliorare la capacità di concentrazione e contrastare nervosismo, ansia e depressione, elementi comprensibilmente correlati alla SM.
                      “Uso il respiro che ho imparato a Yoga anche quando devo fare qualche esame fastidioso (la risonanza magnetica), che diventa meno spaventoso” (S.)
                     “Mi manca ancora tanta coordinazione, anche se guardo meno a cosa fanno le altre persone e sto bene con me stessa. Finalmente riconosco i punti deboli, so che se non riesco con il piede sinistro, vado più piano e a volte immagino di fare il movimento. Anche se l’occhio sinistro non vede e si perde, dentro il mio cuore sento gli uccellini che cantano” (A.)
    YOGA IN COMUNITA’
    Tra una lezione e l’altra ho imparato a conoscere il mio corpo in tutti i dettagli, e non solo il corpo, ho scoperto anche la mente, dopo anni di sconvolgimento psicologico, con yoga sono riuscito anche a rilassare la mente” (P., ex tossicodipendente)
                   Spesso i singoli provengono da esperienze di dipendenze miste. Alcuni sono stati anche in altre comunità e frequentemente, oltre alla diagnosi di dipendenza, soffrono di ulteriori patologie psichiatriche.
    Non ha importanza sapere con precisione da quale disagio provenga ciascuno: sono lì, a provarci, lungo una strada scivolosa e in salita.
    Un gruppo così ha una grande difficoltà di concentrazione, è necessario riportare con pazienza la loro attenzione a al corpo, al respiro, cercare di lavorare sulle sensazioni nonostante alcuni partecipanti stiano assumendo farmaci pesanti che intorpidiscono la percezione. Si tratta di coinvolgere continuamente, per lasciare qualche traccia da seguire.
    I corpi sono contratti dal passato sregolato e sopportano ancora gli effetti a lungo termine delle sostanze assunte; spesso sono irrigiditi da crampi.
                  Nelle lezioni una progressione di movimenti dolci portano ad esplorare il respiro, giocare col ritmo e collegarlo alle diverse situazioni emotive. Allora si scopre il valore del silenzio: ai primi incontri faticano a stare in silenzio, in seguito lo cercano. Al termine delle lezioni c’è un piccolo momento più profondo, “il gioco dell’immobilità”. Loro ci stanno, dopo un po’ i tempi possono essere allungati e, forse, un seme germoglierà.
                  “La cosa che più mi è piaciuta è riuscire a lasciarmi andare e trovare quello stato di relax e fierezza che era tanto tempo che non sentivo, o forse non l’ho mai sentito. Non solo mi lasciavo andare ma anche provavo sensazioni di benessere che credo erano nascoste in me.” (M.)
                 Alcuni durante il soggiorno in Comunità iniziano una piccola pratica personale, diminuiscono l’utilizzo di anti infiammatori e ansiolitici.
    “Il corso di Yoga mi è servito molto per controllare la respirazione in momenti di ansia, di panico sotto stress. Vedo che la respirazione controllata riesce a far passare il momento e poi non torna (l’ansia).” (R.)
    UN LAVORO ENORMEMENTE PREZIOSO
              In Comunità a volte qualcuno passa a salutare, ha finito il percorso nel progetto, parte per la sua nuova avventura.
    All’AISM a volte qualcuno manca, una recidiva o un piede posato male tengono lontani dal gruppo per un po’.
    All’AISM sei felice quando tornano; in Comunità lo sei quando vanno.
    Quello che mi permettono entrambi i gruppi è enormemente prezioso: fare quello che so fare, cioè proporre strumenti, ed entrambi mi insegnano a staccarmi dal senso di impotenza, a sentire fiducia.
    Quello che resta è la gratitudine per questo fluire, feroce o dolce, comunque vitale.
    Laura Voltolina

  • L’età della crescita, ovvero tre episodi di cambiamento corporeo (episodio 3)

    Yoga e cambiamento corporeo, esperienze Yoga, insegnante Yoga, KeYoga
    “fortuna che l’età della crescita l’ho passata” 
    Lo pensi con gratitudine, chiedendoti che ci fanno così tanti ragazzini suppergiù delle medie, in tram, in piena estate, ché la scuola è finita.

    Ti chiamano la memoria a quando c’eri tu, alle medie, e guardandoli sgraziati e allegri ripensi a quella parola strana che ti dicevano i medici all’epoca, e la pronunciavano seri, a volte cupi: scoliosi.
    Seguita da un sacco di altre parole e aggettivi, che volevano dire che la tua schiena lunga non la voleva smettere di crescere, andava in fretta, troppo, scappava via, e si stava accartocciando.
    A te veniva in mente il proverbio che ripeteva sempre il nonno: chi va piano va sano e va lontano, “… ma cosa corri a fare, schiena, che poi ti schianti?”.
    Di crescere, ti dicevano, si smette. 
    Se non metti il busto adesso, tra sei mesi sarà troppo tardi, dicevano, ché l’accartoccio mica si può più sistemare, dopo.
    Anzi, alcuni volevano operarti lì per lì per correggere la folle corsa della tua schiena.
    A te faceva così tanta impressione che ti rifiutavi perfino di immaginartelo.
    I più arditi arrivarono a spiegarti, con un disegno che ancora ricordi, che la tua statura un giorno sarebbe poi diminuita, che capita a tutti, è naturale.
    Spiegavano che, a un’età che quando si è molto giovani non si riesce proprio a concepire, si inizia a ritirarsi e l’accartoccio allora diventa un nodo marinaio.
    A te sembrava di essere il tuo maglione preferito quella volta che era finito nel lavaggio sbagliato, e avresti voluto tirarti fuori dalla lavatrice prima che il programma iniziasse a infeltrirti.

    A un certo punto, ricordi bene mentre scendi alla tua fermata, ti sei rifiutata di vedere altri medici.
    Di farti operare.
    Di mettere il busto.
    E ti sei tenuta la diagnosi, pensandoci sempre meno e andando avanti col resto dell’adolescenza.




    Non mi sono mai sognata di mettere in discussione quei postulati.
    Non mi sono nemmeno mai sognata di verificare, superata l’età della crescita e invertita la direzione, il numero nei documenti che indica la statura, perché i postulati sono, appunto, postulati e da un certo punto in poi gli unici numeri ufficiali che cambiano sono quelli del recapito. 
    Fino al giorno in cui qualcuno dichiara che sono certamente più alta dei centimetri scritti sulla carta d’identità.
    Ne è sicuro, vuole verificarlo, per provare di riflesso che la propria, di statura, corrisponde a quella certificata nei suoi, di documenti: di fatto siamo alti uguali, sulla carta c’è una differenza di diversi centimetri.
    Quel metro lì nella farmacia all’angolo dice che, dall’ultima misura adolescenziale, sono cresciuta.
    Due centimetri.
    (lui invece, apparentemente ne ha persi quattro, ma questa è un’altra storia).
    Mi è venuta la voglia prepotente di fare quattro chiacchiere vis-à-vis con la pletora di ortopedici che mi terrorizzarono da ragazzina, sostenendo che a ventanni non sarei più stata in grado nemmeno di camminare, “con quella schiena”…

    Anni di Yoga sono (anche)  piedi più larghi insofferenti alle calzature (soprattutto se strette e col tacco), spalle e torace che non entrano più in nessuna vecchia giacca e un guardaroba da rifare, e due centimetri in altezza guadagnati alla scoliosi che avrebbe dovuto paralizzarmi vent’anni or sono.
    Lo Yoga mi insegna, giorno per giorno, ad abitarmi in modo diverso, a scoprire con stupore sempre nuovo spazi impensati.

    La cosa più interessante, però, non è trovare un altro numero di scarpe, né cambiare la misura sui documenti.
    E’ mettere in dubbio i postulati.

    [anche qui e qui]
  • Quelli che…il Ponte!

     “Le cose vicine 
    e quelle lontane 
    sono unite da legami invisibili
    F. Thompson

    Ecco cosa scrivono coloro che hanno partecipato a questi seminari qui.

    “il significato simbolico del titolo di questo seminario, mi ha spinto a partecipare. Durante la pratica insieme, quella domenica, ho sperimentato in maniera molto intensa il  ” senso di unione corpo e mente”, non so come dirlo meglio, essere un unica cosa (con le mie esperienze di malattia, per lungo tempo, ho sicuramente tenuto separate ciò che veniva dal corpo e ciò che era della mente) e quindi per me è stata una esperienza fondamentale che mi ha dato energia e nuova fiducia
    Questa sensazione  è proseguita poi anche nei giorni successivi e riesco a ritrovarla  quando pratico yoga a casa.”

    “il lavoro […] mi ha permesso di guardare alcune parti di me, elaborandole ulteriormente, rimanendo tranquilla e lucida.”

    “ho trovato molto intensa la forza del gruppo di persone che condividevano la pratica”

    “il seminario? Devo dirti due effetti: più carica sessuale e più menefreghismoNon male direi… 😉 Per il menefreghismo, troppo poco. Ma a me ce ne vorrebbero vagonate!!”

    “che viaggio interessante, non me lo aspettavo!
    il tempo mi è volato, quando abbiamo concluso mi sono stupita di sapere che erano passate già quattro ore, credevo a malapena ne fosse trascorsa una soltanto.”

    “ho costruito il mio Ponte sulle mie tensioni interiori, alcune le ho scoperte insieme a te durante la pratica, altre sapevo che c’erano, tensioni e nodi fisici dolorosi che si sono sciolti, proprio come se avessi attraversato un Ponte di cui non conoscevo l’esistenza. Mi sono ritrovata diversa alla fine del seminario e anche nei giorni successivi: mi sento più forte, ho più energia e ho notato che sono più fiduciosa quando mi capita una situazione difficile, che nel passato mi avrebbe mandata nel panico, adesso provo ad attraversarla costruendoci un Ponte sopra e…funziona!”

    è venuta a galla una vecchia e brutta abitudine. Ci lavoreremo ancora ai fianchi!” 

    “ciò che inizialmente era una sensazione di “dubbio”, di “divisione” e “doppio”…riguardandola adesso è esattamente l’opposto…cioè “equilibrio”. pensandoci bene forse non è nemmeno l’opposto. è solo il punto di vista a essere completamente diverso.

    “che dire? il seminario è arrivato forse non a caso in un momento di passaggio per me…se non sto nel bel mezzo del Ponte ora…non lo sono mai stata!!! […] nei giorni successivi mi sono sentita “con lo sguardo in avanti”, sostenuta da dietro da tutto ciò che è stato e che mi ha permesso di arrivare al margine del Ponte, anche se a tratti ho paura e ripenso all’immagine dei leoni al di là del ponte, cammino, vado avanti: le spalle e il petto li sento diversi…come alleggeriti

  • il guru nel menisco

    Yoga e consapevolezza corporea, ginocchia, allievi Yoga, KeYoga
    il cuore di un cammino di ricerca è la condivisione: le tracce lasciate da altri, magari da luoghi lontani nel tempo e nello spazio, diventano strumenti, incoraggiamenti o consigli per noi, qualcosa di utile nel nostro percorso.
    Ringrazio Savina, autrice del testo qui di seguito

    [per inciso no, non c’è nessun errore nel titolo del post: 
    benché i refusi siano abituali nei miei scritti, e – sia detto per onore di verità – nonostante le riletture e i controlli ortografici automatici (a volte a causa dei controlli automatici), qui non si narrano affatto epiche gesta di ortopedia chirurgica e, dunque, non si tratta del guru del ginocchio. 
    in questa storia il guru viene trovato, senza nemmeno averlo cercato per la verità, nel menisco, tutto qui.]

    “Cara Nanà, dopo che la risonanza magnetica aveva rilevato il danneggiamento del menisco, tutti i medici mi sconsigliavano l’intervento perché non lo ritenevano necessario, secondo loro bastava rinunciassi alle mie attività fisiche.
    Mi sentivo sconfitta e delusa perché non avevo avuto la capacità di fermarmi prima dell’infortunio, quando cioè percepivo la stanchezza e il corpo mi chiedeva di rallentare. Superbamente avevo continuato per essere come gli altri, per non perdermi nulla, ma avevo ottenuto di sentirmi l’ultima della classe, l’allieva che non si ascoltava nonostante gli anni di pratica.
    Avevo cercato di andare avanti in qualche modo, di continuare come se niente fosse, ma il continuo dolore fisico ha definitivamente abbattuto ogni mio tentativo di resistenza.
    A quel punto dovevo decidere se farmi operare o no, se volevo continuare o rinunciare.

    Nanà, lo sai che quando prendo una decisione non la cambio più, ma in quel periodo ho assistito, quasi come fossi una spettatrice, ai miei continui ripensamenti.
    Con tenacia mi sono “aggrappata” allo yoga, ma non era facile: certe posizioni non potevo eseguirle e era frustrante, la mente era un subbuglio di pensieri e mi sembrava che tutto perdesse di significato.
    Più passava il tempo, più mi innervosiva il mio continuo tentennare riguardo l’intervento, inoltre mi colpevolizzavo per come stavo affrontando il problema.

    Yoga e consapevolezza corporea, allievi Yoga, KeYoga
    Quando finalmente ho preso coscienza che mi stavo solo danneggiando e che non potevo continuare a remare contro corrente, ho deciso di cambiare atteggiamento, sono riuscita a mettere in pratica la frase “sospendere il giudizio e lasciare che accada”.
    Ed è stato incredibile, gradualmente non mi sentivo più in balia delle onde, mi sembrava che la mia strada si facesse un po’ più nitida.
    Il giorno fissato per l’intervento stentavo a riconoscermi, nessun segno di nervosismo, la mente calma, incapace di formulare un solo pensiero. In sala operatoria ho trovato naturale chiudere gli occhi e concentrarmi nell’ascolto interiore, mentre i medici si occupavano di una piccola parte di me, io mi prendevo cura di tutto il resto: mi sembrava di partecipare ad una “speciale” lezione di yoga!
    Il giorno successivo, nonostante il ginocchio gonfio, ho deciso di cominciare con gli esercizi di riabilitazione. Ma non mi riusciva assolutamente nulla, la sensazione che provavo era piuttosto strana in quanto percepivo il comando che partiva dal cervello, lo sentivo scendere attraverso il busto e poi non capivo dove si era fermato, perché si era spento da qualche parte.
    Finalmente, ho notato che se sollevavo leggermente il bacino come a mimare il gesto del ponte riuscivo nel 1° esercizio che consisteva nel piegare l’arto.
    Al termine sentivo la gamba stanca e rigida in modo assurdo, così allungando il tratto cervicale con le mani sulla nuca, riuscivo a rilassare gli arti inferiori.

    Yoga e consapevolezza corporea per guarire, KeYoga, allievi Yoga
    Con il passare dei giorni provavo dei disturbi alla schiena, mal di testa e ai cervicali, così ho dovuto “adattarmi” ulteriori esercizi, come il gesto di Brahma in versione “esclusivamente con le gambe diritte”, gli esercizi del collo appresi con l’aikido e gli esercizi di allungamento del tai chi.
    Gradualmente le mie personali lezioni portavano non solo un benessere generale, ma rapidi miglioramenti al ginocchio. Inoltre, lavorare con la paura di farmi male, mi rendeva facile osservare ed ascoltare costantemente il corpo.

    Avevo scoperto che potevo limitare le medicine tenendo rilassata la gamba e mettendo il piede in linea (altro insegnamento ricevuto per non sovraccaricare il ginocchio).
    Appena è stato possibile ho mollato le stampelle, preferivo muovermi con estrema lentezza, ma cercando di ri-educare la caviglia al movimento completo e di ritrovare la graduale flessione del ginocchio.
    Man mano che passavano i giorni aumentavano gli esercizi ed è sorto un nuovo disagio, un malessere che ho risolto con l’ennesima regola imparata a yoga: ho cambiato l’ordine di esecuzione, partivo da qualche esercizio a terra, poi raggruppavo tutti quelli in piedi, terminavo con gli ultimi a terra per successivamente concedermi il meritato riposo.

    Nanà, non è stata una passeggiata, ho dovuto imparare ad aver pazienza, ma mi sono presa anche le mie soddisfazioni; pensa che ad ogni controllo, il medico di turno andava a verificare la data dell’intervento sul computer perché, in base ai miglioramenti, non credeva fosse quella che gli dicevo io!
    Non credere però che il merito sia tutto mio, la guarigione è stata accelerata dall’aver applicato quanto ho imparato dalle attività che svolgo (e che i medici volevano abbandonassi) e dalla bravura dei maestri che hanno condiviso il loro sapere con me.
    Credo di essermi riscattata per gli errori commessi, ho acquisito maggiore sicurezza nelle mie capacità, ho capito che dentro di me ci sono gli insegnamenti ricevuti in anni di pratica, la sfida è ora riuscire ad applicarli costantemente.”
  • di abiti e altre amenità – ovvero tre episodi di cambiamento corporeo (episodio 2)

    Yoga e cambiamento, Corpo e Yoga, KeYoga, Laura Voltolina“se trattengo il fiato per tutto il matrimonio, potrei anche riuscire a non far saltare le cuciture”, dici, perplessa.         
    E’ avanti con l’età e sorride, in quel suo salotto pieno di mobili scuri troppo grandi e centrini di pizzo sotto foto in cornice, a decine, di tutte le cerimonie familiari degli ultimi quarantanni, comprese le cresime dei nipoti dei secondi cugini o giù di lì.  Sei appena entrata eppure tutto ti è noto, come se fossi andata a trovare una prozia un po’ matta che vive lontana (invece sei a meno di cinquecento metri da casa tua).


    Armeggi in apnea con la lampo per liberarti dalla morsa dell’unico Abito da Cerimonia che possiedi.
    “la giacca”, aggiunge lei, ridendo apertamente “non dovrai mica metterla, vero?”

    Somiglia davvero alla tua vecchia prozia, forse perché fa la sarta anche lei.
    In quel momento sai con sicurezza che conserva diligente i buoni sconto del supermercato, fa dello zabaione buonissimo e troverà magicamente il modo di farti respirare in quello stesso abito che poco prima ti soffocava, frutto di un incauto acquisto di oltre due anni or sono: quella volta era il matrimonio numero tre di una tua amica e tu pensavi non fosse opportuno stare nell’album di nozze con lo stesso abito dei matrimoni numero uno e due.
    Avevi deciso un investimento; ci avresti giurato di usarlo, quel vestito, in tutte le numerose occasioni di cui la fantasia aveva improvvisamente farcito la tua vita mondana (che, per la verità, somiglia piuttosto a quella di una novantenne in coma), ché certe spese una non le fa mica a cuor leggero, deve giustificarsele.
    Durante l’ultimo, delirante trasloco, eri anche miracolosamente riuscita a conservare il prezioso Abito intatto, riservandogli le cure che si dedicherebbero a un bebé in uno tsunami, per dire. 

    Nel tempo, comunque, avevi già notato nei tuoi vestiti l’antipatica tendenza a stringertisi sulle spalle (e tu per vestiti intendi acquisti occasionali strettamente necessari a non insegnare Yoga con maglie bucate).
    Davi la colpa alla scarsa qualità del materiale, cavolo, due passaggi in lavatrice e si stringono subito… non che ti sia mai curata chissà quanto dell’abbigliamento e quando l’unica cosa che ti spinge a entrare in un negozio è il prezzo sul tavolo dei rimasugli di fine stagione (di almeno cinque anni prima), la tua logica ti porterebbe a credere che un abito di un buon materiale, quell’Abito, non ti tradirebbe mai, ché la spesa è, sicuramente, valsa la pena.

    Per quasi tutte le illusioni arriva il giorno di infrangersi e questa si è frantumata a pochi giorni dalla seconda occasione di indossarlo, a distanza di quasi tre anni dalla prima (e a conferma della scarsa mondanità che ti contraddistingue), quando hai prudentemente pensato di riprovarti l’Abito.


    Indossarlo per la seconda volta mi ha spedita dritta in Via col Vento e la prima cosa che mi sono detta, mentre incredula cercavo di chiudere la cerniera, è stato “mai più cioccolata”.


    Non sono ingrassata, però; è qualcosa di diverso.
    E’ il mio torace che ha preso spazio, sicuramente più di quello che avrei mai immaginato.
    Con tante scuse alle grandi catene di rivendita di vestiario (che pure altre e molte colpe hanno),  è lo Yoga che, quatto quatto, mi ha aperto il respiro.
    Questo allargamento di spalle e torace mi costringe a “pensarmi” diversa, più larga, più “spessa”.

    E a benedire la sarta sotto casa.
    [inizia qui, continua qui]
  • quelli che…l’Universo in Noi!

    cosa dice chi c’era a questa settimana di Yoga

    “anche se non mi sembra cambiato nulla qui, sicuramente è cambiato qualcosa in me

    “[…] le piantine germogliate dentro di me resistono agli attacchi della consuetudine così come all’inerzia dei nodi della mia personalità; sono però sicuro che la loro sarà una crescita che mi accompagnerà per tutta la vita e che qualche tempesta ogni tanto servirà solo a rinforzarne il fusto”

     “tutto scorre, e scorre meglio. spero solo di poter mantenere questo magico stato di grazia

    “[…] riprendere i miei tempi, ritmi, abituarsi allo stretto contatto con gli altri, questi sconosciuti… sono state tutte sensazioni molto piacevoli”

     “mi sono trovata a raccontare ad amici curiosi della mia esperienza e non ho potuto che parlarne con gioia, come una delle vacanze più belle che abbia mai vissuto: seppur semplice, così unica

    “ho ritrovato un po’ della forza di carattere che mi sembrava di aver perso e la capacità di fare delle cose per me”


     “a volte la vita prende una piega un po’ arida, siamo troppo presi dai nostri impegni, spesso futili e che riteniamo così importanti. è un dare il giusto valore alle cose, nell’aridità della nostra vita può nascere sempre qualcosa di rigoglioso e inaspettato

    “un aspetto del mio carattere che ho rivalutato e riscoperto durante la vacanza è stato l’amore per la semplicità

    “se all’inizio ero un po’ diffidente anche solo nel camminare per terra a piedi nudi (aiuto, ci si sporca, ci si fa male…) è bastato davvero poco per riabituarsi a tutto ciò che ci circonda nel modo più naturale possibile

    “ho riscoperto anche la tolleranza, andare incontro all’altro

    “è stato interessante scoprire insieme come volerci bene, come massaggiare gli organi, come sentire le sensazioni, anche le più minime, del nostro corpo. il corpo ci parla, sempre, e noi dobbiamo ascoltarlo

    “ […] ho sempre dato molta importanza al volersi bene, anche molto prima dell’incontro yoga, alla cura del fisico prima interiore e poi esteriore

    “la grande bellezza che insegni resta dentro!”

    “sto focalizzando la mia attenzione alla mia postura, al mio bacino e all’allineamento generale

    “ripeto con soddisfazione l’infinito a gambe incrociate, in entrambe i versi, prima della mia meditazione mattutina: questo mi permette di avvertire meno resistenze muscolari sulla schiena e sulle cosce, punti che normalmente avvertivo come rigidi mentre mantenevo la posizione seduta, gambe incrociate e schiena dritta per i 20/30 minuti necessari”

    “nel mio approccio con il mondo ho notato di avere maggiore apertura e fiducia nei confronti di quello che mi aspetta…in generale ho una grande voglia di esperienze”

    “la testimonianza che qualcosa è rimasto di quella settimana e […] che bisogna coltivare il proprio benesseree stare bene con se stessi e con gli altri”

    “mi sento più disponibile verso gli altri, ho più piacere a stare in compagnia degli amici e penso che mi venga spontaneo di essere più estroversa e più affettuosa con amici e colleghi. con la natura avevo già un ottimo rapporto, direi che gli spunti che tu ci hai dato erano in grande sintonia con il mio modo di sentire la biosfera”


    “c’è stato un periodo in cui mi sentivo molto rigida nell’articolazione delle anche nel bacino, non riuscivo a sentirmi sciolta.  mi sembra di aprire di più le spalle e stare più dritta.   non sopporto più il reggiseno di cui prima non mi accorgevo neanche, e non penso di aver messo su altro seno…purtroppo!”
  • quelli che…il Linguaggio Segreto del Corpo

    da questa settimana di Yoga, i feedback dei partecipanti, che ringrazio col Cuore…

    “a cosa mi è servito il corso? ad aprire le finestre del cuore al sole…”

    “devi ricercare dentro il tuo corpo. ciò che scopri andrà a tuo vantaggio. gli altri possono darti i mezzi e gli strumenti ma non possono fare questa ricerca per te

    “mi “penso” come una regina, con la corona in testa, sia quando cammino per la strada, sia quando faccio marmellate o dipingo, mi sento la lepre che mette fuori la testa e annusa l’aria, mi sento a mio agio nel mio vecchio corpo arrotondato dall’età e dal vissuto. i movimenti sono più fluidi, anche quando sono veloci, e ho incorporato l’infinito nella camminata, insomma sculetto! :-))”

    “mi sento più capace di governare la mente, mi pare di aver lasciato alle spalle tredici anni di malessere che sotto sotto mi logorava”

    non sono più la stessa persona di prima. almeno in parte. credo di essermi avvicinata finalmente un pochino alla risposta alla fatidica domanda “cosa vuoi fare da grande?” – ho resistito all’impulso di fare uno dei miei soliti colpi di testa, ma non mi ero mai sentita così libera prima e sento l’esigenza di prendermi cura del mio corpo. in generale per me è stata una settimana di “amplificazione” e “apertura”!



    “ho fatto pace con il mio profilo, porto di più i capelli raccolti, mi nascondo di meno!”


    “è avvenuto un cambiamento profondo, di cui ancora non misuro la portata. mi preoccupo meno del giudizio degli altri […] piango meno e rido di più!!”

    “mi sento più di prima. mi sento più leggera a volte. sento uno spazio tutto per me, come se il mio corpo fosse una sorta di tempio, un luogo nel quale ripararmi quando fuori piove. devo dire che faccio fatica a distinguere cosa derivi dalla settimana di yoga e cosa invece dalla meditazione giornaliera, ma di sicuro la settimana di yoga ha amplificato le sensazioni corporee e il “sentire il corpo”

    “ho imparato a modificare la mia postura non appena mi rendo conto di essere ripiegata e incassata come mio solito 😉 ho scoperto un dolore molto forte alle anche con il quale convivevo senza neppure rendermi conto, ho scoperto le mie dita dei piedi anche quando cammino, ho trovato un’energia fortissima e questo mi ha spinto a correre. questo è tutto merito della settimana di yoga che mi ha permesso di esplorare i miei limiti, che sono molto più mentali che reali (la visualizzazione p.es. aiuta moltissimo)”

    “ho imparato a dare più fiducia all’intuizione che alla mente, che “mente frequentemente” “


    “mi sono accorta che […] faccio il “guardiano del tesoro” di me stessa e fatico ad espormi, mentre sarebbe cosa sana e giusta se espandessi all’esterno le mie qualità […] so di avere molto da dare ma sono bloccata. in compenso su altri fronti sento di star lasciando andare vecchi schemi caratteriali, diciamo che un po’ il lavoro interiore costante mio, un po’ lo yoga tuo (con le belle storielle che hai raccontato) stanno lentamente modificando automatismi reattivi che una volta erano decisamente forti in me. quindi nulla che faccio è vano, anzi, un gradino in più nel mio viaggio di consapevolezza in questa vita terrena. la via umida comporta pazienza…” 
error: Content is protected !!