la gente mormora, ovvero rassegna stampa (parte 2 – Percorsi Yoga)

Written by on 25/09/2014

Percorsi Yoga - articolo Laura Voltolina - Insegnare Yoga in contesti speciali
“Percorsi Yoga” è una bellissima rivista tematica, redatta e pubblicata dall’Associazione Nazionale Insegnanti Yoga (YANI). 
Tempo fa mi è stato chiesto un breve scritto, pubblicato nel numero dedicato a “Lo Yoga nelle relazioni di aiuto” del luglio 2014, su alcune mie specifiche (e per me preziosissime) esperienze come insegnante di Yoga.
Eccolo di seguito! 


LO YOGA A MODO TUO

“Te la sentiresti?”, mi chiede.

“Certo! rispondo.
Lei è la psichiatra del Ser.d (Servizio per le dipendenze) dell’ASL e collabora, in particolare, con una Comunità di recupero da dipendenze; la proposta è di insegnare Yoga proprio lì.
A fianco dei corsi “classici” di Yoga per tutti, e oltre a seminari di approfondimento, da un paio d’anni insegno Yoga presso la Comunità San Francesco di Monselice (Padova) a un gruppo di persone in recupero da dipendenze da gioco d’azzardo, alcol e sostanze, che qui vengono seguiti anche nella delicata fase del reinserimento. Il corso di yoga si inserisce nel progetto di tutta l’équipe di sostegno composta da psichiatri, educatori e psicologi: di frequente gli operatori partecipano spontaneamente alle lezioni, lo spirito è stato da subito quello della più completa disponibilità ed è stata la psichiatra stessa a chiedere ai dirigenti della Comunità di introdurre lo Yoga per i residenti.
Da più di tre anni guido anche un corso di Yoga settimanale presso la sede di Padova dell’AISM (Associazione Nazionale Sclerosi Multipla). Visto l’entusiasmo dei partecipanti e i feedback positivi sulla qualità della vita, all’AISM abbiamo tentato di dare maggiore spessore all’esperienza cercando il supporto delle strutture pubbliche per avviare uno studio in merito. Ci abbiamo provato, a suo tempo, contattando il Reparto di Neurologia dell’Ospedale, ma ci fu fatto notare che i medici del reparto erano impegnati in studi finanziati da case farmaceutiche sugli effetti di nuove molecole, e studiare gli effetti dello Yoga non solo non avrebbe goduto dello stesso sostegno economico, ma avrebbe potuto essere in controtendenza rispetto agli interessi in gioco. Le mie considerazioni di seguito sono quindi arricchite dai commenti dei partecipanti più che da evidenze scientifiche, impossibili da recuperare.
E’ necessario però rispondere a una domanda implicita: perché scegliere di insegnare Yoga in situazioni così delicate?
Perché credo, visceralmente, che lo Yoga possa davvero essere “per tutti”.
Non avevo dubbi sul fatto che l’esperienza, per entrambi i gruppi, avrebbe potuto essere costruttiva se solo avessi trovato le chiavi giuste per proporre la pratica in modo adatto; ed ero curiosa di scoprire cosa avrei imparato, io, da questi due ambiti, così diversi tra loro, eppure simili per la caratteristica comune di essere speciali.
In fondo,  in ogni classe di Yoga il gruppo è sempre nuovo, anche quando è composto dagli stessi partecipanti. 
Ogni giorno siamo diversi; a guardar bene, siamo diversi ad ogni respiro.
L’opportunità di seguire gruppi speciali permette ancor di più di accarezzare il continuo mutamento della vita.
YOGA E SCLEROSI MULTIPLA
Lo Yoga mi aiuta a riappropriarmi del mio corpo” (P., affetto da SM)
                      Entrano lentamente, sorridono e scambiano qualche parola, stanno sempre molto attenti ai propri passi. Appaiono e scompaiono sedie a rotelle, stampelle, tutori, come per una strana, perfida, magia.
È un gruppo di circa quindici persone con SM diagnosticata sia nella forma recidivante – remittente, sia nella forma secondaria progressiva. La SM colpisce ciascuno in modo disparato, con intensità variabile e in distretti corporei differenti: è necessario tener conto dell’irregolarità dei sintomi quando si insegna  a persone tutte affette da SM.
La flessibilità nell’offrire indicazioni è una caratteristica fondamentale dell’approccio con loro, perché ciascuno ha una gradazione di abilità diversa da quella che aveva anche solo la settimana precedente.
Anche il fatto di praticare con partecipanti tutta affetti dalla stessa patologia permette loro di sentirsi immediatamente a proprio agio:
Mi piace moltissimo e mi serve molto. Sto insieme a un gruppo di persone nella mia condizione e perciò non fanno domande fuori luogo come invece fa tantissima gente che non ci conosce” (S.)
                      Lo spazio utilizzato è la sala del Centro Diurno della sede dell’AISM: non si tratta di un centro Yoga attrezzato, gli strumenti a disposizione sono tappetini e coperte, le sedie della sala e la parete.
Si lavora in cerchio, con i tappetini appoggiati al muro, sul quale il dorso può essere sostenuto liberando dalle tensioni e dalla fatica schiena e arti inferiori.
                     Trattandosi di persone che, per la stragrande maggioranza, hanno grosse difficoltà a deambulare, proporre una pratica in piedi, anche brevissima, risulterebbe stancante e frustrante. Le asana in piedi possono essere adattate per essere eseguite su una sedia.
Ho preso più confidenza con gli esercizi sulla sedia, adesso trovo sollievo alle tensioni delle gambe e ho notato che durante la settimana ho molta più forza ed energia” (D.)
                    Tutti i movimenti che conducono a un’asana vengono scomposti in gesti più dettagliati, più piccoli, e ripetuti con lentezza maggiore, fino a diventare un unico movimento fluido e leggero.
Lo Yoga non cura la SM ma insegna ad appoggiare l’attenzione sul corpo in modo costruttivo e privo di giudizio: il corpo, fonte di sofferenza e dolore, viene riscoperto anche come depositario di elementi di saggezza. La presenza mentale che si fonda sull’ascolto diventa la chiave per migliorare la capacità di concentrazione e contrastare nervosismo, ansia e depressione, elementi comprensibilmente correlati alla SM.
                  “Uso il respiro che ho imparato a Yoga anche quando devo fare qualche esame fastidioso (la risonanza magnetica), che diventa meno spaventoso” (S.)
                 “Mi manca ancora tanta coordinazione, anche se guardo meno a cosa fanno le altre persone e sto bene con me stessa. Finalmente riconosco i punti deboli, so che se non riesco con il piede sinistro, vado più piano e a volte immagino di fare il movimento. Anche se l’occhio sinistro non vede e si perde, dentro il mio cuore sento gli uccellini che cantano” (A.)
YOGA IN COMUNITA’
Tra una lezione e l’altra ho imparato a conoscere il mio corpo in tutti i dettagli, e non solo il corpo, ho scoperto anche la mente, dopo anni di sconvolgimento psicologico, con yoga sono riuscito anche a rilassare la mente” (P., ex tossicodipendente)
               Spesso i singoli provengono da esperienze di dipendenze miste. Alcuni sono stati anche in altre comunità e frequentemente, oltre alla diagnosi di dipendenza, soffrono di ulteriori patologie psichiatriche.
Non ha importanza sapere con precisione da quale disagio provenga ciascuno: sono lì, a provarci, lungo una strada scivolosa e in salita.
Un gruppo così ha una grande difficoltà di concentrazione, è necessario riportare con pazienza la loro attenzione a al corpo, al respiro, cercare di lavorare sulle sensazioni nonostante alcuni partecipanti stiano assumendo farmaci pesanti che intorpidiscono la percezione. Si tratta di coinvolgere continuamente, per lasciare qualche traccia da seguire.
I corpi sono contratti dal passato sregolato e sopportano ancora gli effetti a lungo termine delle sostanze assunte; spesso sono irrigiditi da crampi.
              Nelle lezioni una progressione di movimenti dolci portano ad esplorare il respiro, giocare col ritmo e collegarlo alle diverse situazioni emotive. Allora si scopre il valore del silenzio: ai primi incontri faticano a stare in silenzio, in seguito lo cercano. Al termine delle lezioni c’è un piccolo momento più profondo, “il gioco dell’immobilità”. Loro ci stanno, dopo un po’ i tempi possono essere allungati e, forse, un seme germoglierà.
              “La cosa che più mi è piaciuta è riuscire a lasciarmi andare e trovare quello stato di relax e fierezza che era tanto tempo che non sentivo, o forse non l’ho mai sentito. Non solo mi lasciavo andare ma anche provavo sensazioni di benessere che credo erano nascoste in me.” (M.)
             Alcuni durante il soggiorno in Comunità iniziano una piccola pratica personale, diminuiscono l’utilizzo di anti infiammatori e ansiolitici.
“Il corso di Yoga mi è servito molto per controllare la respirazione in momenti di ansia, di panico sotto stress. Vedo che la respirazione controllata riesce a far passare il momento e poi non torna (l’ansia).” (R.)
UN LAVORO ENORMEMENTE PREZIOSO
          In Comunità a volte qualcuno passa a salutare, ha finito il percorso nel progetto, parte per la sua nuova avventura.
All’AISM a volte qualcuno manca, una recidiva o un piede posato male tengono lontani dal gruppo per un po’.
All’AISM sei felice quando tornano; in Comunità lo sei quando vanno.
Quello che mi permettono entrambi i gruppi è enormemente prezioso: fare quello che so fare, cioè proporre strumenti, ed entrambi mi insegnano a staccarmi dal senso di impotenza, a sentire fiducia.
Quello che resta è la gratitudine per questo fluire, feroce o dolce, comunque vitale.
Laura Voltolina



Comments
  1. Anonimo   On   01/10/2014 at 7:43 AM

    sei brava. brava e fortunata.
    è incredibile leggere quelle frasi dei tuoi allievi speciali che hai riportato nel testo: le ho pensate e dette anche io, che speciale non sono, nel mio primo percorso di pratica, e ancora oggi che proseguo me le dico e mi dico che la strada non è mai finita.
    non posso immedesimarmi del tutto in quelle situazioni, ma capisco in maniera completa ciò che hai voluto esprimere, e la tua meraviglia nel poter trasmettere (e ricevere) tanto a quelle persone.
    a chissà quando
    ciccio

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