Autore: Laura

  • Abhaya Mudra – il Sigillo che scaccia la paura

    Abhaya Mudra – il Sigillo che scaccia la paura

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    Un punto importante da comprendere è che il Mudra che vi racconto oggi, non scaccia la causa della paura, bensì dissolve la paura-paura: è così saggio, infatti che non fa scomparire la situazione pericolosa, di per sé, perché così abbiamo modo di affrontarla, e crescere. 
    Scaccia la paura disfunzionale, quella che, quando ci abita e diventa enorme, travalica  la valutazione dei dati reali.

    Mica male come premessa, e come promessa, vero?
     
    Per iniziare a comprenderlo, richiamo un’immagine nota a molti: avete presente il modo di salutare le folle della sempre immarcescibile Regina Elisabetta?
    Ecco, ci somiglia [non vedevo l’ora che arrivasse l’occasione evocarla in un blog che tratta di Yoga, lo ammetto!]
    Perché il palmo della mano rivolto in avanti, quando si incontra qualcuno, che sia una folla sconfinata – come nel caso dell’icona inglese – o uno sparuto gruppetto di pochi individui, dice, al di là delle differenze linguistiche, ‘Hey, sono qui, vengo in pace’.
    D’altro canto il palmo in avanti è anche un deciso segnale che dice ‘Stop! Fermati lì dove sei!’, come ci insegnano i vigili urbani.
     

    Ecco, la potenza di Abhaya Mudra, che significa esattamente ‘senza paura’, sta proprio nell’unire un movimento connaturato all’umanità da sempre, tant’è che sembrerebbe essere una delle modalità più diffuse per raffigurare il divino, soprattutto in Oriente, con il senso di  protezione e di crescita

    Le mani stoppano, le mani fermano, le mani accolgono.
    Le mani sanno tutto!
     
    Si fa così: 

    – Seduti nella nostra ‘postura felice’, cioè in modo comodo, che qui è particolarmente importante, perché la paura, diciamolo, è parecchio scomoda…
    – La mano sinistra in grembo, col palmo verso l’alto, come se contenesse una ciotola che non vogliamo rovesciare;
    – Il dorso della mano destra in appoggio, inizialmente, sul palmo sinistro, poi piano, quando sentiamo di muoverci, il braccio destro inizia a ruotare, mantenendo il gomito e la spalla rilassata, fino a quando il palmo della mano destra non si trova rivolto in avanti; può essere all’altezza del viso, o della spalla destra.
     
    È importante mantenere spalle e mandibole ben rilassate.
     
    Possiamo visualizzare, come mi suggeriva la mia Maestra tanto tempo fa, che il palmo destro diventi uno specchio, sul quale si riflette la nostra paura, finendo proiettata fuori dai confini dell’Universo. Quest’immagine si è sempre rivelata molto efficace, nel mio caso.
    Possiamo integrare il Mudra con il respiro e visualizzare ad ogni inspiro una luce che dall’universo scende in noi e ad ogni espiro esce attraverso il palmo della mano destra, distruggendo la nostra paura.
    Se non avete inclinazione per la visualizzazione, non ha importanza: Abhaya Mudra è così ‘congenito’ in noi che basta ascoltare il proprio respiro e mantenerlo finché il nostro stato d’animo non sarà quieto, e la paura scomparsa. 
    La meditazione può proseguire anche restando nel Mudra, finché è comodo, finché è piacevole.
     
    Raccontatemi com’è andata!
  • Yoga, superpoteri e l’isola di Circe

    Yoga, superpoteri e l’isola di Circe

    A chi non piace la magia?
    L’idea di avere potere sugli eventi, di controllare la vita?
    Per dire, Harry Potter, io, l’ho conosciuto da adulta, attraverso la pre-adolescenza della prole altrui quando, nel mezzo di un piatto di pastasciutta, una vocina undicenne ha chiesto ‘zia Laura, ma tu sai quali sono i tre Doni della Morte?’
    Mentre combattevo con gli spaghetti improvvisamente finiti di traverso, ho capito che, per poter continuare a comunicare con le ragazze, mi sarei dovuta aggiornare su Harry Potter; e ha funzionato bene, finché la piena adolescenza ha spostato altrove i loro interessi.
    Invece il rimpianto che la saga sia finita, a me, è rimasto.
    Detto questo, che c’entra lo Yoga con la magia?
    Se pensate che Yoga  voglia dire unione, beh, vi deludo: Yoga è una parola particolare che ha tantissimi significati (tra cui unione) ma pure, indovinate? Magia!
    [*oltre a benessere, profitto, trucco, inganno, affare, adattamento…Nelle nostre classi yoga tutte incenso e namasté difficilmente ci si fa caso]
    Lo yogaha a che vedere con la magia non solo per questioni semantiche: si tramanda che il praticante di Yoga e meditazione ottenga i Siddhi, cioè i super poteri, ovvero poteri magici. Ce n’è per tutti i gusti: diventare giganteschi o piccolissimi (come Alice nel Paese delle Meraviglie), conoscere ogni cosa, essere immuni da delusioni e infelicità, comprendere ogni creatura vivente…
    Addirittura in alcuni versioni del mito di Ganesha, Siddhi è una delle sue mogli: in pratica, chi rimuove gli ostacoli è accompagnato dai poteri magici.

    La maga per eccellenza: Circe

    Se dico Circe, si pensa subito all’ammaliatrice spietata che trasformava gli uomini in maiali. 

    Tutto qui?
    Assolutamente no!
    Maga, incantatrice, signora della natura selvaggia, Circe è innanzitutto una dèa antica, figlia del Sole e della Luna.
    Circe è forte, consapevole del proprio potere e, di conseguenza, in grado di usarlo: perché possiamo usare solo il potere che conosciamo. Come per i Siddhi, che possono appartenere solo a chi pratica con costanza la conoscenza di Sè…. 
    Certo, Circe ha trasformato gli uomini dell’equipaggio di Ulisse in maiali, ma ci si scorda che, tornati ad essere uomini, erano più forti e giovani di prima e che, quando hanno deciso di ripartire, Circe fornì preziose indicazioni per la prosecuzione del loro viaggio.

    Ha senso che la trasformazione in maiali, per quanto sconvolgente, abbia conferito nuova energia: infatti il maiale, come il cinghiale, è legato alla fertilità, all’abbondanza, alla Terra; in fondo non è un caso se il salvadanaio per eccellenza è un maialino!
    Come mai Circe ha cambiato idea e ri-trasformato i maiali in uomini?
    Beh, costretta da Ulisse.
    Ulisse è scaltro, però è pur sempre un uomo: come può forzare la mano a una dèa?
    Semplice! Il mito racconta come Ulisse sia stato aiutato da Hermes (tra l’altro spesso viene associato a Ganesha, dato che entrambi rimuovono gli ostacoli), divinità protettrice dei viaggiatori, dei mercanti e dei ladri, grande mediatore, che gli consegna l’antidoto alle pozioni di Circe: è una pianta speciale di cui si dice ‘strapparla è difficile per le creature mortali, ma gli dèi tutto possono’.
    L’erba magica è nata dal sangue di un gigante che, ossessionato da Circe, l’aveva rapita, e che il Sole, padre della maga, uccise. 

    Mi piace che l’antidoto stia in mano solo agli dèi, mi piace che la dinamica tra Ulisse e Circe diventi occasione di nuove trasformazioni, più ricche, e di altre informazioni per proseguire il viaggio, di Ulisse e il nostro.

    Quale potere magico è più desiderabile, in fondo, dell’essere in accordo con la parte numinosa, riconoscerla – in noi e nel mondo che ci circonda – e abbracciarla?
    È un superpotere anche rendersi conto che alcuni aspetti delle nostre quotidianità, nei quali ci sentiamo costretti, non sono poi così importanti. 
    A volte è prezioso anche solo sedersi tranquillamente e non cercare il cellulare ogni minuto.
    *fonte Roots of Yoga, Mallinson e Singleton, Penguin Books 2017

    NB: io conosco poco le erbe, ma ecco, Le mani degli dèi di Erica Maderna, ed. Aboca è un libro da maga Circe, che invece ne sapeva parecchio.
    Come alcuni forse ricorderanno, è mia ferma convinzione che si possa trovare moltissimo Yoga in libri, come dire, insospettabili, che non contengono   la parola Yoga – in qualsiasi accezione semantica – nemmeno una volta; Le mani degli dèi è tra quei libri lì, per la capacità di evocare e di indurre con-centrazione, bello da leggere e pure da guardare. 

  • Dove arrivano le radici (ovvero ritiri Yoga, spalle e feedback)

    Dove arrivano le radici (ovvero ritiri Yoga, spalle e feedback)

    Feedback e divertimento ai Ritiri Yoga 2019 - KeYoga
    I ritiri Yoga  sono momenti dell’anno che amo tantissimo: condividere giornate intere, silenzi densi, percorsi tosti conditi da risate e magnate è divertente, intenso, mi mette nel frullatore, mi fa crescere, e mi restano consapevolezze che prima non avevo. 
    Avrò condotto almeno una trentina di ritiri, ormai, e ogni volta è una sorpresa, ogni volta è differente, ogni volta è interessante.
    La cosa che preferisco è la possibilità di conoscere meglio le singole persone.
    La seconda cosa che preferisco è sapere come crescono i semini che sono stati piantati durante il ritiro: i famosi feedback.
    La terza cosa che preferisco è il senso  di pace e gratitudine che mi resta per la partecipazione e le condivisioni.

    Silvia Ferro pratica Yoga da quando era bimba, ha sguardo pulito, punti di vista sempre originali e la disponibilità a fare esperienze e mettersi in gioco di chi ama la vita e se la mangia con gusto, a prescindere.
    Si è ‘buttata’ a seguire due ritiri uno dietro l’altro conoscendomi appena e fidandosi del suo intuito: ecco la sua esperienza!

    ‘La sensazione più bella è stata il giorno del rientro a Padova.
    In realtà mi sono presa una notte ed una mattinata in più, perché se lo meritavano! Erano da godere!
    Guidavo felice, sapendo che sarei arrivata direttamente in ufficio con ancora la macchina carica di valigie, ma sorridevo e mi sentivo più ampliata.
    Sì! 
    Avevo una specie di guscio morbido ma potente che percepivo soprattutto sulle spalle e sul dorso.

    Il mio desiderio è di poter sentire sempre questo guscio, questo strato energetico, questa me esterna, anche quest’inverno, quando sarò nel pieno della mia routine. Perciò proverò a coltivarlo, a non dimenticarmene mai.

    Mi hanno fatto sentire parte di un tutto ed avere la conferma, talvolta purtroppo necessaria, che ci può essere comunione con l’altro. So che c’è anche di più, ma non lo riesco ad esprimere a parole. O forse lo sto ancora assimilando ed arriverà più chiaro più avanti.

    Quindi, cara Laura, io ti ringrazio tanto, per come sei, per come insegni, per come sorridi, per quello che trasmetti, di quello che hai studiato e coltivato negli anni e di quello che hai di tuo innato.’
  • Lunatiche (a Nord Est)

    Lunatiche (a Nord Est)

    Lo Yoga è donna?
    Sì (e no).

    , certo, basta mettere il naso in una lezione qualsiasi: sono le donne a praticare Yoga. Nei corsi e nei seminari che guido da quasi vent’anni, mi riferisco con affetto alla minoranza di uomini presenti come alla nostra ‘quota azzurra’.

    Eppure no, perché nelle lezioni di Yoga, spessissimo non si tiene conto delle differenze corporee tra uomini e donne. Il che non è molto strano, dato che i testi classici dello Yoga sono scritti dal punto di vista del praticante uomo.
    Il risultato è che alla maggioranza dei praticanti di Yoga, che appunto sono donne, viene proposto un lavoro che non tiene conto della loro fisiologia ormonale, viscerale e della loro struttura.


    “Voi cercate il femminile nella donna e il maschile nell’uomo, e così esistono sempre e soltanto uomini e donne. Ma dove stanno gli esseri umani? L’essere umano è sia maschile che femminile, non è soltanto uomo o soltanto donna. Della tua anima non puoi dire di quale sesso sia.” Carl Gustav Jung, Il libro rosso.

    Maschile e Femminile ci appartengono come persone, arriviamo tutti da un ovulo e uno spermatozoo, a prescindere dalla declinazione genetica che esprimiamo.
    È ovvio, eppure spesso questa informazione resta a galleggiare, senza il sostegno di una consapevolezza effettiva. 
    Tendiamo a identificarci con il ‘maschile’ e ‘femminile’ che la cultura del nostro tempo ci impone, l’equazione uomo=maschile e donna=femminile resta radicata, e di conseguenza forza=uomo, accoglienza=donna e via dicendo…
    Così restiamo intrappolati in uno stereotipo.
    Ad esempio, nel sentire comune, le attività destina te alle donne sono ‘da femminucce’, hanno una cifra dispregiativa e superficiale,  ben lontane dalla compassata serietà e dalla ben più evocativa forza che, invece, la stessa narrativa, attribuisce alle attività destinate agli uomini. 
    Anche nello Yoga.
    [Spoiler alert: niente di più sbagliato!]

    Così, in una situazione che vede milioni di praticanti di Yoga nel mondo, nella stragrande maggioranza donne (= yogini), ad avere avuto una maestra che sottolineava che le pratiche tout court erano strutturate per uomini, che per le yogini era necessaria una ricerca personale e specifica, si deve essere state fortunate.

    Io, questa fortuna, l’ho avuta. Ho potuto sviluppare questo punto di vista: esplorare, studiare e costruire percorsi esattamente destinati alle donne.
    Perché qui, nello Yoga in generale, c’è ancora una lacuna.

    Tutti noi esseri umani, quando ci rendiamo conto di quanti messaggi invalidanti la cultura prevalente inocula in noi, beh, iniziamo a liberarcene!
    Per questo serve, lo Yoga per la Donna: ci rende consapevoli attraverso il Corpo (con la maiuscola, sì, sempre con la maiuscola!) di quanto mozzate, accartocciate e rimpicciolite rischiamo di essere. Di quante forzature  ci abitano, e in base alle quali ci muoviamosul tappetino e, soprattutto, nella vita. Anche laddove siamo convinte di farlo in base a nostre libere scelte.
    Allora ci autorizziamo ad essere intere, ad ascoltare la nostra voce  interiore e ad esprimerla, e questo cambia il mondo.
    Perché il mondo si cambia una persona alla volta, una donna alla volta.

    Lo scorso anno, dopo la conclusione del ciclo di 4 seminari ‘La Luna nel Pozzo – Yoga per la Donna’, ho chiesto alle partecipanti di raccontarmi cosa, per loro, veramente fosse cambiato.

    La risposta che mi ha più stupita è arrivata da un’insegnante di Yoga. Mi ha detto di essersi resa conto di aver sempre pensato a se stessa con un’etichetta. ‘Moglie’ ‘madre’ ‘figlia’. Ruoli bellissimi, per lei, sia chiaro! 
    Però non si era mai percepita, in precedenza, semplicemente come persona, come donna.
    Questa rivelazione le è arrivata attraverso i seminari – ai quali si era iscritta per approfondimento professionale, più che altro – e che hanno invece portato ad un arricchimento personale inaspettato.

    Modifichiamo la narrazione che ci abita, e lo facciamo attraverso il corpo, la simbologia del profondo e la narrazione mitologica: ci mettiamo tutta la potenza evocativa che possiamo, perché i condizionamenti sono profondi e non basta – o non sempre è sufficiente – per smascherarli, ‘pensarli’. 

    E lo facciamo con gioia, divertendoci!
    In questo lo Yoga è maestro, non a caso uno dei significati della parola ‘yoga’ è unione.
    Integrazione.
    Completezza.
    Quando ci autorizziamo ad essere noi stesse, stiamo autorizzando una comprensione più amorevole di tutti gli altri, perché implicitamente lasciamo a ciascuno la possibilità di essere se stesso. Siamo meno manipolabili, e meno inclini a manipolare gli altri. Siamo più sane, di una salute globale.
    Trovare i miti e gli archetipi nel corpo, attraverso asana (= posizioni), mudra (gesti) e nel pranayama (respiro), è stupefacente.

    Per questo si tratta di un percorso potente, proposto in modo lieve e divertente. Perché è molta la potenza necessaria per interrompere le narrazioni depotenzianti che ci ipnotizzano da generazioni.
    Accedere alla completezza è fluido e agevole.
    Perché ‘corpo’ diventi, finalmente, il ‘Corpo’.

  • Mudra: ovvero, le mani sanno tutto #4 parte – Ganesha Mudra

    Mudra: ovvero, le mani sanno tutto #4 parte – Ganesha Mudra

    Mudra Yoga - Ganesha Mudra - KeYoga

    Questo Mudra per me è stato una vera scoperta: è potente e dolce allo stesso tempo.

    Si fa così: 

    Seduti nella nostra ‘postura felice’ (che significa comodamente, ed è un’indicazione molto importante in generale, ancora più importante quando si praticano i Mudra perché l’ascolto sottile va a farsi benedire con una certa rapidità, se stiamo lottando con crampi o dolori fin dall’inizio…a buon intenditor);
    Partendo da Anjali mudra, ruotiamo i palmi delle mani uno sull’altro, in senso opposto (orario una mano, antiorario l’altra), finché le dita di una mano non sfiorano l’interno del polso dell’altra e polsi e, allora, mani e spalle si trovano su un’unica linea parallela a terra;
    Adesso, agganciamo le dita di una mano alle dita dell’altra: ci troveremo coi pollici all’esterno della presa, uno rivolto al cielo e l’altro alla terra.
    È importante, per sentire bene l’elettricità che scorre, che le spalle e le mandibole siano ben rilassate.

    Ci si accorge che per tenere il Mudra è sufficiente pochissima forza: infatti, dopo qualche respiro, il Sigillo ‘sta’ da sé, e quando questo accade, è facile che lo stato meditativo sorga spontaneamente.
    Si percepisce immediatamente lo spazio al centro del torace, dalla bocca dello stomaco al cuore.

    Un piccolo approfondimento, che è anche un consiglio: a un certo punto, quando lo desiderate, girate le mani nell’altro senso, insomma scambiatele: le sensazioni cambiano!
    Onoriamo il fatto che non siamo simmetrici (e non abbiamo nessun obbligo di esserlo, oltretutto) quindi, di fatto, celebriamo la nostra asimmetria; non abbiamo nemmeno l’obbligo di eseguire qualsivoglia ‘esercizio’ da entrambi i lati.
    Detto questo, consiglio comunque di provare a scambiare l’incrocio; infatti abbiamo la tenenza naturale a iniziare (un passo, un salto, un gesto, un’Asana…) nella modalità che ci risulta più semplice, più immediata, e che di solito segue lo schema motorio abituale: ha un senso, perché il nostro istinto non ci fa ‘fare fatica’ a vuoto!
    Può essere, però, interessante scoprire quello che c’è nel lato ‘nascosto’, termine con cui di solito ci riferiamo alla zona-ombra della nostra psiche, ma che si trova pure nel fare un passo, un salto, un gesto, un’Asana, dall’altra parte.
    Nei Mudra, poi, è particolarmente stimolante: cosa ci dice, di noi, che magari non sapevamo prima?

    Dedicato a Ganesha, la divinità con la testa di elefante, invocato per rimuovere gli ostacoli, questo gesto in effetti trasmette una grande quiete, il senso di solidità della presa, e il respiro del cuore.
    Un partecipante a questo seminario mi ha raccontato di aver poi praticato Ganesha Mudra con costanza durante un periodo per lui faticoso: ha trovato in questo Sigillo prezioso grande centratura e calma.
    Pronti a sperimentare?

    Sappiamo che conoscere la storia del mito che un simbolo sottende, lo rende più facile da integrare, e dunque più potente: allora QUI c’è la storia di Ganesha, colui che rimuove gli ostacoli…

  • Mudra: ovvero, le mani sanno tutto #3 parte – Prithvi Mudra

    Mudra: ovvero, le mani sanno tutto #3 parte – Prithvi Mudra

    Mudra Yoga - Prithvi Mudra: la forza della terra - KeYoga

    Il Sigillo della Terra: ecco qui un Mudra davvero stupendo!
    Si fa così: seduti comodamente, nella nostra postura ‘felice’
    Le mani sono appoggiate  con i palmi rivolti verso il cielo; anulari e pollici si toccano, mentre le altre dita restano allungate (NON ‘tese’, non troppo ‘molli’, semplicemente allungate). 
    Ecco, siamo in Prithvi Mudra: il sigillo della Terra.
    Come per ogni Mudra, la cosa fondamentale è la qualità di attenzione che si sviluppa.
    Come per ogni Mudra, si chiudono circuiti elettrici, si contattano qualità sottili…

    Sapete  perché si chiama così? 
    Perché è dedicato all’energia di Prithvi, la Terra, la nostra energia fondante.
    Potremmo essere facilitati nel sentire meglio la portata di questo Mudra, se conosciamo anche il mito che sottendeQUI. 
    Esattamente come nella storia, questo Mudra aiuta a raccogliere le energie che ci sostengono: la connessione con la vitalità, con le nostre potenzialità, il contatto con la forza vitale.
    La stabilità.
    La sicurezza.
    Collegandoci a Prithvi, richiamiamo tutte le qualità della Terra, compresa la forza dei tessuti del nostro apparato muscolo scheletrico, dei nostri visceri.
    Perché, se è vero che senza Terra non ci può essere altro, è anche altrettanto vero che con una buona energia vitale la qualità del nostro cammino nel quotidiano diventa più intensa, colorata e bella.

  • le avventure della Terra e del Cinghiale – ovvero Prithvi e la Stabilità

    le avventure della Terra e del Cinghiale – ovvero Prithvi e la Stabilità

    Prithvi - mitologia indiana - Yoga e Mitologia

    In questa storia indiana ci sono rapimenti, discese in fondo all’Oceano di prima dell’inizio  salvataggi, lotte titaniche; in questa storia c’è, anche, una stabilità acquisita…
    È mai capitato a qualcun’altro? 
    Toccare il fondo’ (che per ciascuno ha una sfumatura differente), risalire, trovando stabilità, una saggezza diversa, una visione allargata, una pazienza rinnovata?
    Ecco, la storia è questa.

    Non è un caso se i miti indiani, spesso, iniziano con un Asura = demone: infatti gli Asura non sono mica, banalmente, brutti-malvagi-cattivi (o, almeno, non sempre, come saremmo invece portati a pensare quando traduciamo il termine con ‘demoni’). 
    Essi sono le qualità energetiche che stanno nell’ombra, al buio: e dunque quelle sconosciute
    Il primordiale timore del buio – anche se fingiamo, dignitosamente, di averlo superato fin dai tempi lontani dell’infanzia – è legato al fatto che ignoriamo cosa ci sia lì, nascosto nelle tenebre. 
    Magari c’è qualcosa  di sorprendente, potrebbe trattarsi di un incontro utile alla nostra crescita. 
    Per questo mi piace che le storie inizino con un Asura: iniziano con una sorpresa.
    Questa storia non fa eccezione.

    L’Asura si chiama Hiranyaksha, che significa Occhio-d’-Oro; la madre di Occhio-d’Oro è Diti, la Madre Cosmica, mentre il padre è Kashyapa, il primo dei Rsi, i veggenti: il capostipite, così antico che, a quanto pare, da lui discendono i Deva (Dei), gli Asura (anti-dei, ombre), i Naga e l’umanità tutta.


    Insomma Dei e Asura sono tutti figli dello stesso padre, e sono in costante lotta tra loro. Come nel simbolo del Tao, ombre e luci danzano, e dalla loro danza emergono energie diverse, colori differenti…nessuna delle due può prevalere definitivamente sull’altra, altrimenti la Vita, che è movimento, è vibrazione, avrebbe termine…

    Com’è possibile che il figlio di una coppia simile sia un Asura, oltretutto parecchio malvagio?
    Pare che, in un’incarnazione precedente, Occhio-d’Oro e il suo fratello gemello (Asura quanto lui) fossero i guardiani della dimora celestiale di Visnu, il conservatore della Vita (apparirà tra poco come Cinghiale Cosmico, in questa  storia); e quando alcuni veggenti si presentarono, chiedendo di incontrare Visnu, loro come custodi della tranquillità di Visnu glielo impedirono [come farebbe qualsiasi brava guardia del corpo degna del proprio incarico, eh!]. 
    I veggenti non la  presero bene: infatti, li maledirono.
    Dovete sapere che le maledizioni dei veggenti facevano paura a tutti perché erano implacabili
    Stavolta, ai due guardiani tocca di rinascere Asura
    Comunque sia, da Diti, la Madre Cosmica, nascono Hyranyakasha, Occhio-d’-Oro, e suo fratello, Vestito-d’-Oro.
    Mi ha colpito, questo dettaglio dell’occhio d’oro.
    Gli occhi d’oro sono soprannaturali, evocano super poteri
    Un modo diverso di guardare il mondo.
    Nella mitologia classica pare che la maga Circe, quella, per intenderci, che trasformò i compagni di viaggio di Ulisse in maiali, avesse occhi d’oro (e anche in quella vicenda ci sono superpoteri, occhi d’oro e maiali, cioè una versione più domestica e ben educata del cinghiale che sta per arrivare).
    È chiamato Occhio-d’-Oro pure un altro personaggio della mitologia indiana, Kubera, che è il custode dei tesori: pare infatti che, una volta, avesse affermato che il denaro può comprare tutto, così la Dea gli tolse un occhio, incitandolo a rimpiazzarlo. 
    E, lui, con cosa lo fece? 
    Esatto, si mise un occhio d’oro!. 
    Così uno dei suoi molti nomi è Ekaksipingala che vuol dire quello con l’occhio d’oro, o giallo.

    Tornando al ‘nostro’ Occhio-d’Oro, l’Asura, lui i superpoteri non li ha, non dall’esordio. 
    Ma sa bene come procurarseli: armato di incrollabile pazienza, decide infatti di praticare austerità rigidissime, dedicandole a Brahma, l’Iniziatore della Vita. Il dio, dopo anni e anni di preghiere, gli appare e gli concede la realizzazione di un desiderio.
    Infatti, come ben sappiamo, il mestiere del numinoso è, una volta invocato correttamente, di esaudire i desideri e rispondere alle preghiere. Anche se sei un Asura…
    Occhio-d’Oro chiede e ottiene di dominare l’intero mondo; in particolare ottiene che nessun animale elencato lì per lì, di fronte a Brahma, abbia mai il potere di ferirlo o ucciderlo. 
    Il fatto è che si dimentica di nominare un solo animale: indovinate quale?
    Infatti.

    Occhio-d’Oro inizia subito a creare scompiglio, saccheggiando ogni cosa di valore dalle creature del mondo, inclusi i testi sacri indiani. Sfida perfino a duello tutti i semidei, uno ad uno, ma nessuno di loro accetta. 
    Decide allora di trascinare Prithvi = la Terra, nel fondo dell’Oceano primordiale, e di tenerla prigioniera lì; ma, quando manca la Terra, cosa succede? 
    La Vita non riceve sostegno, si spegne, resta spazio solo per l’immobilità e la morte!
    Come sempre, quando la Vita stessa è in pericolo, quando l’universo è al punto di collasso, deve per forza intervenire Visnu, che perlappunto di mestiere fa il Conservatore della Vita: lui è quello che arriva e salva nelle situazioni più critiche.
    Stavolta prende la forma di un cinghiale, che era l’animale scordato da Occhio-d’Oro nel suo elenco: inizialmente, Varaha il Cinghiale esce dalle narici di Brahma (l’Iniziatore della Vita, e anche, in fondo di questa storia) come una piccola bestiolina delle dimensioni di un’insetto, ma inizia subito a crescere.  
    Diventa grande come un elefante, e cresce ancora, ancora, fino a diventare come una montagna, finché il suo corpo immenso occupa tutto lo spazio tra  la terra e il cielo.

    Cinghiale - Varaha: mitologia indiana - Yoga e Mitologia

    Il Cinghiale Varaha si tuffa nelle profondità dell’oceano, per salvare Prithvi
    Ovviamente incontra Occhio-d’Oro, che gli si para davanti e non ci pensa nemmeno di lasciare Prithvi libera; il loro combattimento dura mille anni, finché il Cinghiale, finalmente, distrugge  Occhiod’Oro. 
    Riporta Prithvi, la Terra, a galla: e le acque primordiali, mentre la Terra e il Cinghiale risalgono in superficie dalle profondità più oscure dell’oceano, vengono agitate da onde enormi, mulinelli, cascate…quando tutto si placa, il Cinghiale Varaha distende la Terra, Prithvi, ben bene, modellando montagne e continenti, in modo da renderla nuovamente abitabile.
    D’altronde ‘Prithvi’ significa ‘estesa’, ‘distesa’. 
    È il principio di fertilità, la fonte di ogni vegetazione, ed è la stabilità, e il sostegno degli esseri viventi.
    Lei è paziente come nessun altro, e porta sul petto il peso di tutto ciò che vive. 
    Il Cinghiale, di fatto, rappresenta la rinascita della Terra.

    Se siete arrivati fin qui, forse vi sarete accorti anche voi che questa storia ha qualcosa di noto, come quando ci presentano qualcuno che, con certezza, non conoscevamo prima, ma ci pare familiare…
    Se vi è capitato con anche con questo mito indiano (e non solo col cugino del vostro vicino di casa), potrebbe dipendere dal fatto che, nella mitologia classica occidentale, c’è una storia affine, con dentro il rapimento di una dea verso luoghi sotterranei, il recupero della dea stessa, un cinghiale…è il mito di Demetra/Persefone, rapita da Ade nell’oltretomba; anche qui la Vita è in  pericolo, e uno degli animali attribuiti a Demetra è proprio il cinghiale.
    Certo, nel mito indiano c’è una lotta tremenda, mentre in quello greco manca lo spargimento di sangue, manca Occhio-d’Oro. Perché Ade dell’oltretomba, delle oscurità, delle aree  sconosciute, del buio, è potentissimo e non ce lo sogniamo nemmeno di poterlo distruggere. Il mito greco trova un compromesso: dice che periodicamente la Dea deve tornare a regnare le zone oscure, e periodicamente risalire. Ade, in pratica, è un’energia molto più definitiva rispetto a Occhio-d’Oro (ha già i superpoteri, lui, non ha bisogno di procurarseli): con una qualità simile, si può solo negoziare, mica si può pensare di annientarla!

    Prithvi - Yoga e Mitologia - la terra e il cinghiale

    Prithvi è l’essenza dell’elemento Terra. È ‘colei che sostiene ogni cosa’: infatti nell’iconografia è rappresentata seduta su una piattaforma quadrata (= simbolo della stabilità e della terra), sorretta da 4 elefanti, che sono i 4 angoli del mondo. Può avere due o quattro braccia; spesso è rappresentata con del grano o  frumento in una mano, esattamente come le rappresentazioni di Demetra, e una delle mani è sempre in Abhaya Mudra, che è il gesto simbolico, Mudra, ‘che scaccia la paura‘; l’altra è in Varada Mudra, il gesto ‘del dono‘.
    E cosa c’è di più rassicurante della Terra che ci dice ‘Non aver paura, ti darò quello che ti serve’?

    Per questo Occhio d’Oro e Ade sono comunque simili: se non ci fossero loro, nelle due mitologie affini eppure differenti, non potremmo sapere che i ‘mondi’ possono comunicare, che si può finire nell’oscurità dell’Ade o del fondo dell’oceano.
    Se non ci fossero loro, non sapremmo che, capitasse mai di perderci nel buio, di toccare il fondo, beh da lì si può risalire
    Che possiamo attivare le energie che ci salvano (con un lotta pazzesca, oppure con una negoziazione).
    Che, alla fine, Prithvi, la Terra, sostiene sempre tutti gli esseri viventi e quindi anche noi, se solo ci autorizziamo a lasciarci sostenere, ad avere più fiducia nel movimento  della Vita.

    Come mai proprio il Cinghiale? [continua…]

    NB: per provare l’energia di Prithvi, c’è anche un bellissimo Mudra dedicato, QUI
    Se ti stai chiedendo cosa siano i Mudra…QUI!
  • Mudra: ovvero le mani sanno tutto #2 parte – Anjali Mudra

    Mudra: ovvero le mani sanno tutto #2 parte – Anjali Mudra

    QUI l’introduzione.

    Mudra Yoga, Anjali Mudra, KeYoga, Laura Voltolina


    Il mio Mudra preferito, e mi piace inserirlo per primo, si chiama Anjali Mudra, che significa Gesto dell’Offerta.

    [Anjali, per la cronaca, è anche un bellissimo nome di battesimo]
    Iniziamo, a  partire dalla nostra postura ‘felice’, unendo i polpastrelli delle dita davanti al cuore, piano, senza ‘schiacciare’ troppo. 
    Poi le dita, poi i palmi.
    Facciamo attenzione a mantenere le spalle rilassate: infatti le mani stanno unite con facilità, non è necessario spingere.
    Se utilizziamo la giusta tonicità (= non troppo, non troppo poco, vedi sopra…), allora percepiremo la chiusura del circuito elettrico del canale del cuore.
    Tra un palmo e l’altro c’è uno spazio microscopico ma denso, e se saliamo con l’ascolto lungo le braccia, potremo percepire  lo spazio potente e dolce del cuore.
    Anjali Mudra, Yoga Mudra, KeYoga, Laura Voltolina
    Amo questo Mudra soprattutto perché è un gesto di presenza; in larghissima parte del mondo è un gesto di saluto: e quando salutiamo qualcuno, stiamo dicendo ‘sono qui, adesso, sono presente per te‘.
    In altri luoghi del mondo è un gesto di preghiera: e cos’è la preghiera se non essere presenti alla divinità, al numinoso?
    Presenza al centro: mano destra e mano sinistra unite al centro, uniscono passato/futuro, uniscono maschile/femminile ecc.

    È un gesto intensissimo nella sua semplicità.
    Può essere praticato di per se stesso stando seduti o in piedi; chi pratica abitualmente Asana (che sono le forme, le posizioni, dello Hatha Yoga), lo troverà a incorporato anche , ad esempio, in Vrksasana (la posizione dell’albero).

    I benefici di questo Mudra sono moltissimi; trovo che l’aspetto interessante di ciascuna esperienza sia l’aspetto personale: il margine individuale, ciò che il singolo Mudra porta a chi lo sta praticando, in quel preciso momento.
    Detto questo, Anjali Mudra parla dell’offerta: offerta di sé, presenza, e dunque conduce a ‘centrarsi’ e, come sempre quando siamo ‘focalizzati’ su noi stessi, l’ansia si dilegua. Entriamo in contatto con la parte più autentica e bella di noi: quella, appunto, che si offre.
    E’ un gesto di disponibilità, a se stessi e al mondo.

  • Mudra: ovvero, le mani sanno tutto (prima parte)

    Mudra: ovvero, le mani sanno tutto (prima parte)

    Mudra Yoga, KeYoga, Laura Voltolina
    Laura Voltolina, ritratto by Riccardo Ciriello

    Sbarchi dall’altra parte del mondo, India del Sud; in solitaria, e in India non c’eri mai stata.
    La prima volta che hai visto quel gesto, quel movimento lì, eri ancora in aeroporto.
    L’avevi capito dall’incipit che sarebbe stato un viaggio interessante: hai subito sbagliato coda all’immigrazione e, anziché con gli stranieri, ti sei accorta troppo tardi di essere in quella dedicata agli indiani, perciò  hai trascorso tutta l’ora buona che c’è voluta per arrivare a mostrare il tuo visto nuovo di zecca sperando che al desk non decidessero di mandarti a rifare la coda dalla parte corretta.
    Al tuo turno l’addetto ti guarda, ondeggiando la testa a destra e sinistra.
    Pensi caspita, nemmeno il tempo di sbarcare e già sono nei guai, perché ti è immediatamente chiaro che, qualsiasi cosa significhi, quel gesto lì, non promette niente di buono; invece lui ti ha piazzato il timbro sul passaporto e via, sei uscita.
    Hai pensato che l’addetto avesse il Parkinson.
    Quando hai visto che anche l’usciere della guest house, la cameriera del ristorante e l’omino che vendeva banane al chiosco ambulante oscillavano la testa, hai sospettato che potesse essere qualcosa di diverso da un’epidemia di Parkinson.
    È un modo di assentire, ringraziare, riconoscere che sei lì, presente, stare nel ritmo delle parole che si dicono e che si ascoltano. 
    È una comunicazione gestuale.
    Che poi sono italiana e proprio noi italiani, con la gestualità, abbiamo un rapporto che definirei privilegiato.
    Non solo movimenti della testa, ma delle mani, le mani soprattutto: sono la nostra specialità.
    Gesticolare fa parte integrante nostro modo di sentire, e di comunicare
    Proprio come in India.

    Proprio come nell’arte
    Una delle raffigurazioni pittoriche super antiche che preferisco si trova in una grotta in Argentina e risale a una cifra di anni fa – e mai ‘cifra’ è stato più adatto. Indovinate cos’hanno rappresentato, quegli autori paleolitici?
    Esatto, mani. 
    Una foresta di mani, oltretutto, che toglie il fiato da quant’è bella.

    Importanza delle mani fin dalla preistoria, Mudra Yoga
    Cuevas de las  manos – Argentina

    Nei dipinti, negli affreschi, nelle icone a tema religioso, nei mosaici, nelle sculture, insomma in qualsiasi raffigurazione soprattutto a tema religioso, la rappresentazione delle mani ha un significato preciso: le mani sanno tutto, insomma.
    In India queste posizioni delle mani, delle dita, dei piedi, degli occhi, della testa, della lingua, si chiamano Mudra, che significa “sigillo” o “gesto simbolico”.
    Sono fondamentali nella danza classica (bharatanatyam, kathakali), nel teatro, nella raffigurazione delle divinità rappresentate nei templi, che siano induisti o buddisti.
    Anche nello Yoga ci sono i Mudra.
    Avete presente quelle immagini che ritraggono solitamente una fanciulla, seduta a gambe incrociate con i pollici e gli indici delle mani che toccano formando due piccoli cerchi? Foto così vengono utilizzate per venderci di tutto, dallo yogurt a un viaggio in Sicilia.
    Ecco ad esempio quel gesto lì delle mani, quello è un Mudra; nello specifico si tratta del sigillo detto della consapevolezza (cit) o della conoscenza (jnana).
    Nello Yoga, i Mudra sono potenziati: alla forza del messaggio simbolico, si unisce l’energia derivante dalla chiusura dei ‘circuiti elettrici’ dei canali energetici.
    Sono uno strumento formidabile per la meditazione e per la salute.
    Pronti a sperimentare?

    Qui tratteremo degli Hasta Mudra, che sono i Mudra delle Mani.
    Prima di iniziare 
    Un aspetto veramente importante nei Mudra delle mani, spessissimo trascurato, è che ciascuno trovi la propria ‘qualità di pressione’, perché se premiamo troppo le dita tra loro percepiamo la forza brutalmente muscolare, e ci perdiamo la sensazione sottile della chiusura dei circuiti energetici; va da sé che se la pressione è troppo labile, ci perdiamo ugualmente le percezioni sottili.
    L’invito, in questa pratica potente e così semplice da poter apparire banale, è sempre di trovare il proprio, personale, ‘tocco’.

    Un altro elemento fondamentale, lo esplicito anche se  ovvio, è che quasi tutti i Mudra delle mani si praticano seduti, o in piedi: trattandosi di ‘ascolto sottile’ è necessario che la posizione, seduti a terra, su un cuscino, su una sedia, in piedi…qualsiasi essa sia, sia ‘felice’, ci faccia sentire bene: perché che razza di ascolto profondo può esserci se stiamo soffrendo per dolori atroci alle articolazioni, al dorso, e ci sentiamo infelici?

    Quindi: postura felice e…via! 
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    Abhaya Mudra – il sigillo che scaccia la paura

  • Il figlio del monsone – Ganesha (seconda parte)

    Il figlio del monsone – Ganesha (seconda parte)

    Ganesha, mitologia indiana, Yoga e Mitologia, KeYoga, Laura Voltolina
    [prima parte QUI]
    D’altronde, come diceva una mia saggia antenata, c’è sempre (almeno) una soluzione, e Shiva lo sa bene!
    Ordina ai suoi attendenti, I Gana, di andare a cercare una testa per sostituire quella decapitata al fanciullo.
    Nella versione più diffusa del mito si narra  che i Ganapresi dall’affanno di obbedire all’istante, portassero a Shiva la testa della prima creatura incontrata: un elefante, appunto, dato che Shiva è uno che può permettersi di ordinare una testa, così, senza specifiche…

    La versione che preferisco io, invece, è quella in cui Nandi, il toro bianco cavalcatura di Shiva, vaga coscienziosamente per i tre universi perché non basta una testa qualsiasi, deve trovarne una adatta a stare sul corpo del figlio di Parvati!
    Ed è quando incontra Airavata, l’elefante emerso all’inizio dei tempi dal frullamento dell’oceano di latte [un’altra storia, raccontata QUI] che la ricerca ha termine: Airavata non è mica un elefante qualsiasi, infatti. 
    Non solo è nato dall’oceano cosmico di prima dell’inizio, quindi è blasonato, ma aveva il compito di portare l’acqua dal sottosuolo al cielo, dove Indra, che per l’appunto è il dio del cielo, l’avrebbe fatta piovere sulla terra.
    La testa di Airavata conferisce a Ganesha la connotazione di abbondanza e fertilità che lo caratterizza, e forse per questo è la versione che mi piace di più. Per questo, e perché adoro quando i miti si incrociano…

    Solo quando Ganesha è completo, con la testa dell’elefante – che sia Airavata o un elefante qualsiasi – sul corpo di fanciullo, che diventa a tutti gli effetti il figlio del monsone.
    Così, Vinayaka diventa Ganesha, nato-due-volte, completo, integrando le energie di Parvati, la Dea che lo ha creato, e di Shiva, il Dio che lo ha ri-creato.
    La sua cavalcatura è – come sa bene la signora di quell’internet café a Varanasi – un topolino: i topolini si intrufolano ovunque, sono incontrollabili, non conoscono ostacoli.
    Esattamente come Ganesha.

    IL PUNTO DI VISTA DEGLI OSTACOLI
    Ganesha significa ‘leader dei Gana’, che sono gli attendenti di Shiva, gli squatters del monte Kailash [descritti QUI].
    Non fanno del male, ma fanno paura, tanta paura: mettono alla prova, noi e il nostro coraggio. 
    Ma Ganesha è Vinayaka, e i Vinayaka sono un gruppo di demoni molesti che creano difficoltà: insomma Ganesha, a dispetto del suo aspetto tenerone e gentile, del suo ventre tondo e dell’atteggiamento innocuo, è un’energia potentissima!
    Infatti è colui che pone ostacoli, ove necessario; è colui che li rimuove, ove utile; un Giano Bifronte orientale, un ‘allenatore’ spirituale, la raffigurazione perfetta del guru interiore [se n’è parlato, tra le altre cose, QUI].

    Ha senso quindi invocarlo quando arriva un cambiamento, un inizio, un movimento: nel gioco degli ostacoli, ci svela la fiducia nel movimento cosmico della Vita.
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