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  • Serpenti (ovvero della Coscienza)

    Serpenti (ovvero della Coscienza)

    Il serpente scuote 
    i suoi diamanti in acqua
    e ciò che amiamo 
    brilla e gioca con noi 


    Il serpente scuote 
    i suoi diamanti in acqua
    e ciò che amiamo
    brilla e scorre via 


    Il serpente scuote 
    i suoi diamanti in acqua
    H. Dull
    – L’hai visto se il serpente ce l’aveva, la testa triangolare?

    – Ma se sono scappato subito!
    – Sì, ma la forma della testa? Prova a far mente locale…Zio Google dice che, se non era triangolare, è solo una biscia.
    – Non lo so, non mi ricordo…
    – Comunque qui dice che in questa regione, statisticamente, ci sono poche vipere.
    – …
    – Che sono gli unici serpenti velenosi in Italia. Lo dice Internet, eh.
    – …

    L’ultima volta che mi è capitato ero in campagna e un serpente (la forma della cui testa, per onor di cronaca, è rimasta ignota), nascosto dentro un vecchio fienile, è balenato un nanosecondo nell’aprire il portone di legno.

    Un guizzo appena, si è immediatamente dileguato.
    La volta precedente, invece, l’incontro era stato forzato da un ragazzino indiano che mi aveva scoperchiato sotto il naso un apparentemente innocuo cesto in vimini, sbattendomi faccia a faccia con un povero cobra nero, arrotolato lì dentro. ‘Povero’ sono riuscita a pensarlo sopravvivendo a svariati infarti, dopo aver ingiunto al ragazzino di non azzardarsi mai più, che l’aorta non mi avrebbe retto altri cobra improvvisi, vivi dormienti o che.

    Me le ricordo tutte, le volte in cui ho incontrato serpenti.
    Mi delude rimanerne, sempre, leggermente spaventata (il breve episodio col cobra non rientra affatto nella categoria dei ‘leggermente’, è chiaro). 
    Incolpo la mia vita di cittadina che, animali domestici a parte, incrocia giusto piccioni e nutrie, ma so che c’è ben altro, riguardo ai serpenti.
    Loro, mi fregano sempre.
    Animali (e simboli) potentissimi, hanno su di me un fascino totale eppure, quando li incontro, mi fregano: rimango senza fiato, con questa curiosità che arriva quella frazione di secondo troppo tardi, quando ormai il serpente se n’è andato.

    Il mistero che sottendono è lì, esattamente dentro quel turbamento.
    Resto di stucco, ogni volta.

    Non sono sola, nel turbamento. 

    Perché i serpenti sono misteriosi, affascinanti e spaventosi per l’umanità intera, da sempre: le storie che li riguardano esistono ovunque, nelle mitologie, nei racconti, nelle fiabe, nei folclori.
    E  siccome le idee, quelle eterne e preziose, sono nelle reti tessute dai racconti e l’essenza di una storia antica arriva, trasversale ai secoli, incredibilmente dritta e precisa a parlarci esattamente di noi, qui ed adesso, è ripensando soprattutto a quei (poveri) cobra arrotolati nei vimini dei ragazzini a Varanasi che voglio raccontare i Naga: meravigliosi esseri semidivini, metà umani e metà serpenti, nell’Oriente più lontano.


    Naga, Serpenti nella mitologia indiana, Yoga e Mitologia, KeYoga
    Forti e bellissimi, hanno molti superpoteri: possono cambiare forma diventando completamente umani (o serpenti), il loro veleno è mortifero, hanno l’elisir dell’immortalità e il dono della guarigione.
    Portano una gemma incastonata al centro della testa (sulla cui forma, triangolare o meno, nessuno ovviamente si interroga) che è la panacea universale per curare qualsiasi malanno. 
    Questi gioielli permettono ai Naga di illuminare e sondare la profondità più oscura e impenetrabile.
    Popolano un regno subacqueo, incantato e meraviglioso, la cui capitale sotterranea, Bhogavati, significa ‘incantevole’ ed è governata dal Naga Vasuki, di cui abbiamo narrato QUI.
    Gli abitanti vivono in  spettacolari palazzi costruiti con pietre preziose.
    Sono i guardiani dei tesori  – oggetti dai poteri magici – nascosti in fondo agli oceani, ai laghi, ai fiumi; portano la pioggia, sono la fertilità.


    I Naga, dalle profondità ctonie dell’inconscio, sono la memoria più antica e arcaica e anche la nostra consapevolezza più radicata, più immediata. 
    Più potente.
    Quest’ambiguità, questo potere: come potrebbero non lasciar sgomenti?


    La saggezza è radicata in loro, fin dall’origine, dato che discendono dal veggente Kasyapa, uno dei rishi, i saggi delle origini, profondi conoscitori delle leggi degli Universi, temuti (e dunque tenuti in grande considerazione) dagli stessi Dei.
    Chi non desidera bellezza, ricchezza e saggezza? Ci sono vere e proprie dinastie regali in India e Indocina che fanno risalire il proprio sangue nobile dall’unione antica tra un essere umano e una Nagini, una serpentessa.

    Il riposo di Visnu, mitologia indiana, Yoga e Mitologia, KeYoga, Laura Voltolina
    La storia che meglio racconta l’eternità arcaica, fluida e acquatica dei Naga è quella di Ananta.
    E non è nemmeno una storia: è un’immagine.
    Nell’oceano di prima dell’inizio, senza sponde né fondo, galleggia il dio dormiente.
    È Visnu, il Conservatore della Vita, ma dorme e dunque non sa nulla: dell’oceano, della vita, di se stesso.
    Nulla esiste, ancora: c’è solo il sonno del dio addormentato.
    L’unica creatura sveglia, e dunque l’unica esistente, in quell’eternità prima della coscienza, è Sesha/ Ananta, il Naga, il serpente cosmico dalle mille teste.
    Infatti il dio galleggia coricato sul corpo del serpentone; mille teste vegliano il suo sonno.
    Un’immagine perenne come solo può esserlo un tempo la cui misura non esiste.
    L’inizio accade.
    Un suono, un ritmo: un tamburo.
    È Shiva, il Distruttore, che danza la sua danza cosmica.
    Nasce il tempo.
    Il battito.
    Il respiro.
    Ananta sente la vibrazione, corre un fremito tra le sue spire, sveglia il dio addormentato e, in quel preciso istante, dall’ombelico di Visnu esce un fiore di loto.
    Il fiore si schiude e al suo centro ecco Brahma, il dio dell’Inizio, con 4 volti rivolti alle 4 direzioni cardinali principali.
    Nasce lo spazio.
    In un istante, l’eternità diventa tempo, spazio, coscienza.
    L’universo ha inizio così.
    La nostra vita, ha inizio così.
    Ciò che resterà, dopo che quest’universo nuovo di zecca verrà consumato, sarà Sesha/Ananta, il serpente: Sesha significa  “la rimanenza”; l’altro suo nome, Ananta, significa infinito.
    La rimanenza infinita, l’arcaica saggezza, che ci porta a nascere, infinite volte, ad ogni respiro, ogni giorno, ogni vita.

    Quest’immagine mi lascia senza fiato.

    Mi fregano sempre, i serpenti…

  • Il figlio del monsone – Ganesha (prima parte)

    Il figlio del monsone – Ganesha (prima parte)

    Ganesha, storia delle divinità indiane, Yoga e Mitologia, KeYoga, Laura Voltolina

    Gli altri clienti occidentali nell’internet point di Varanasi si irrigidiscono, ci scambiamo occhiate perplesse e allora no, non è stata un’impressione solo mia.
    Un topolino, in un lampo, mi è proprio passato vicino e l’istinto di sollevare di scatto i piedi da terra ha avuto la meglio sulla nonchalance da viaggiatrice navigata con cui cerco (maldestramente) di mascherare lo stupore costante che vivo in India, dove il confine tra quello che vedi e ci credi, quello che vedi ma fai fatica a crederci e quello che vedi ed è totalmente incredibile, beh è impalpabile, fai confusione.

    Quel negozio minuscolo, con tastiere appiccicose e annessa rivendita di bibite e anacardi, brulica, innegabilmente, di topolini.
    Ganesha”, commenta serafica la proprietaria, che lì con marito, tre figli, i pc, le bibite, i sacchetti di anacardi e i topolini, ci vive, puntualizzando quanto sia assurdo il disgusto che una cosa normale come il passaggio del roditore ha evidentemente innescato in noi.
    In effetti, la signora ha ragione: Ganesha, il dio con la testa di elefante che rimuove gli ostacoli e benedice ogni inizio (che si tratti di gettare le fondamenta di un edificio, di un viaggio o di un rituale religioso), viene rappresentato sul dorso di un topolino. 
    Mi vergogno un po’ del mio scatto nervoso, da figlia dell’occidente, che magari l’ha offesa o, peggio ancora!, potrebbe aver offeso Ganesha, ma ogni volta che apparirà un topo, lì o ovunque, so che avrò un riflesso analogo e dunque mi metto in pace.
    Anche fuori dall’unica chiesa cattolica che mi è capitato di incrociare nel mio vagare per l’India c’era un microtempio dedicato a Ganesha, in cui i fedeli accendevano incensi prima di entrare e pregare davanti al crocefisso: la benedizione del dio-elefante va chiesta all’inizio, è l’incipit di qualsiasi cosa – compreso il rituale di una religione lontana dall’induismo. 
    Non fa una grinza.

    Storia di Ganesha, Yoga e Mitologia, KeYoga, Laura VoltolinaÈ una divinità talmente amata che esiste un numero incredibile di racconti che lo riguardano, sugli esordi in particolare; scelgo la storia più diffusa e divertente.
    Ganesha Charthurti è la grande festa annuale dedicata alla sua nascita; ci sono incappata senza averlo previsto, per una di quelle strane sincronicità che rendono la vita interessante.

    Così so, per averlo vissuto in prima persona, che la festa dura diversi giorni, che blocca il traffico delle città, che riempie le strade di gente che balla e canta e grida in centinaia di processioni coloratissime che portano rumorosamente a spasso effigi del dio in varie dimensioni, e che coincide con la fine del monsone.

    [come sia viaggiare in India nel periodo dei monsoni, beh, è un’altra storia. Basti sapere che l’esperienza conferma la validità delle indicazioni tradizionali dei saggi vagabondi: loro, nei mesi monsonici, a irrefutabile prova di saggezza certa, si fermavano]

    I monsoni sono attesi, inevitabili e, soprattutto, sono ambigui: vero che servono per nutrire l’agricoltura e dunque sono benedetti, ma sono pure un periodo infausto. 
    Tutto è umido e c’è fango ovunque.
    Appena le piogge iniziano a scemare, la terra si copre di verde e porta con sé suo figlio, colui che rimuoverà tutti gli ostacoli nel cammino verso il tempo dei raccolti.
    Quel figlio è, appunto, l’amato e potente Ganesha.
    I genitori di Ganesha sono Shiva e Parvati, e la loro storia d’amore è già stata narrata QUI.
    Parvati è l’energia della Vita, Shiva è il dio dello Yoga e della Danza, il Distruttore.

    [Una volta, un curioso mi ha obbiettato ‘Come, il tuo dio preferito è il Distruttore?’
    Ebbene, sì. L’energia di Shiva è quella che ci permette di allargare, se non distruggere, le scatolette mentali che ci limitano nella percezione della nostra Interezza. Alcuni le chiamerebbero, queste scatolette, ‘ego’]

    Comunque Shiva è una qualità energetica (da qui in poi: ‘divinità’) molto disponibile: se lo raggiungi.
    Non aspetta che tu stia diecimila anni su un piede solo in cima a una montagna, prima di manifestarsi.
    Certo, sta sprofondato in meditazione eoni ed eoni, ed è circondato dai suoi Gana, che sono schiere di creature spaventose, gli Hooligans del paradiso. 
    Fanno paura, i Gana, sono tanti e bruttini, e se ti avvicini a Shiva senza che il desiderio di abbattere i muri del tuo ego sia veramente profondo, allora ti lascerai spaventare. La guardia personale di Shiva avrà fatto il suo dovere, proteggendo la quiete del proprio signore. Se ti avvicini a Shiva con la dovuta sincerità e non avrai paura, i Gana non ti faranno niente e lui risponderà alla tua richiesta.
    Comunque Shiva e i Gana stanno praticamente sempre assieme, tranne quando lui è in meditazione.
    Parvati condivide la quotidianità, lassù sull’inaccessibile monte Kailash dove abitano, con Shiva (quando c’è) e coi Gana (tutto il tempo). 
    A lei, che assiste costantemente alle prove di fedeltà assoluta dei Gana per Shiva, piacerebbe molto avere qualcuno altrettanto devoto
    Inoltre la vita sul tetto del mondo, per quanto amabile nella sua ruvida semplicità, è solitaria. 
    Insomma, Parvati vuole un figlio
    E Shiva se ne sta a meditare nella foresta, o in una grotta irraggiungibile.
    Sicché lei, che è pur sempre a Dea, prende la curcuma che ha usato per strofinarsi la (divina) pelle dopo un bagno, modella un ragazzino e gli dà vita: finalmente ha qualcuno di totalmente suo, il figlio desiderato.
    Il fanciullo si chiama Vinyayaka, che suppergiù significa ‘senza padrone, cioè già dal nome è chiaro che la sua nascita è speciale, priva della collaborazione di un padre.
    Parvati piazza il fanciullo davanti all’entrata dei suoi alloggi e gli ordina di impedire l’accesso a chiunque.
    Quando Shiva ritorna alla grotta della Dea, è sorpreso di trovare un guardiano, mai visto prima, che non lo riconosce e non lo fa passare.
    Preservare la calma quando un ragazzino sconosciuto sbarra l’entrata di casa tua e, colmo dei colmi, proclama di essere figlio di tua moglie, è impossibile anche per Shiva.
    Non può finire bene.
    Il Dio ordina ai suoi Gana di sbarazzarsi del fanciullo.
    Nella lotta che segue il ragazzino sorprendentemente riempie di botte i Gana, così lo stesso Shiva, al colmo della rabbia, finisce per decapitare il povero Vinayaka. 

    Parvati però, adesso chi la sente?
    È furibonda, incontenibile, minaccia di distruggere gli universi e a Shiva risulta chiarissimo che non ci sarà più un solo istante di pace.
    Lei chiede, esige, pretende che Shiva le restituisca il figlio.

    Cosa fatta capo ha’, si dice, e vale anche nell’ipotesi di decapitazione. 
    Quando qualcosa è accaduto, è nel mondo, si può modificare, non cancellare.
    Nemmeno Shiva può.
  • il frullamento dell’oceano di latte – prima parte (il dio dalla gola blu)

    questo mito inizia con una promessa. una promessa fatta in tempi lontani, in cui, tanto per cambiare, i deva (dei) e gli asura (antidei) se le danno di santa ragione in una guerra infinita e sfinente: in palio c’è – nientepopodimenoché – il dominio sui tre mondi.  entrambi gli schieramenti sono ormai fiacchi e indeboliti, ma gli asura sono decisamente in vantaggio: i deva hanno un disperato bisogno dell’Amrita, il nettare dell’immortalità.
    infatti nella notte dei tempi gli dei non sono nemmeno ancora immortali. vivono molto, molto a lungo, è vero, ma la morte li prende sempre e soffrono di tutte le lacerazioni che la guerra prolungata lascia dietro di sé.
    il fatto è che l’Amrita se ne sta immersa nell’immenso Oceano di latte, l’oceano senza sponde di prima dell’inizio, dove tutto è contenuto: ogni cosa è lì, intimamente mescolata a tutte le altre che ancora devono venire ad esistenza.
    ma come si fa a tirar fuori, da quell’enorme marasma opaco, il prezioso nettare?
    essendo latte, si può frullare (per la precisione, zangolare), proprio come si farebbe per tirarci fuori il burro.
    bello.
    ma frullare un immenso oceano non è mica come zangolare un secchio di latte!
    “per riuscirci, alleatevi con gli asura”, consiglia Vishnu ai deva.
    questa è la promessa che da vita alla storia: i devapromettono agli asura, in cambio di collaborazione, di dividere con loro il prezioso nettare.
    una promessa pericolosa, difficile da mantenere.
    i deva borbottano tra loro su questa inedita cooperazione, ma ci si penserà dopo a come sistemare le cose, dopo, quando avranno la coppa dell’Amrita in mano.
    ora l’urgenza è tirarla fuori dall’Oceano.
    gli asura, sfiancati dalla guerra e sedotti dalla prospettiva di diventare invincibili, accettano subito di dividere fatiche e premio finale con gli avversari di sempre.
    l’impresa è immane.
    per costruire la più grossa zangola mai esistita decidono di utilizzare, come perno, il monte più alto dell’universo: il monte Mandara.
    non è roba da poco: deva e asura scavano le radici della montagna, per estirparla dal suo sito, ma scavare come matti non basta perché non riescono, nemmeno tutti insieme, a trasportarlo.
    il monte scivola, tentenna, cade, schiaccia e non si lascia trasportare. non ce la farebbero mai se l’enorme Garuda, l’aquila divina, non lo prendesse con i suoi artigli, portandolo sa solo al centro dell’Oceano.
    per fabbricare, però, una zangola non basta avere il perno adatto: serve anche una corda da avvolgere intorno al monte.
    qui entra in gioco Vasuki, il re dei serpenti, gigante quanto il monte Mandara, che sembra proprio fatto apposta per essere la fune del frullatore cosmico.
    i deva tengono la coda del serpente, gli asura la testa, e tirano a turno.
    oooh issa, oooh issa!
    la montagna  inizia a ruotare, prima piano ma, man mano che l’inerzia cede, sempre più in fretta…schiuma, ondate di latte,
    oooh issa, oooh issa!
    onde sempre più agitate, il vortice intorno al monte Mandara inizialmente è timido, ma via via diviene più profondo,
    oooh issa, oooh issa!
    tutti sudano faticano in modo inesprimibile.
    col progredire del lavoro, il fiato di Vasuki diventa caldo, poi più caldo, poi rovente, una fiatella da paura!
    gli asura, che proprio dalla testa lo tengono, maledicono l’ingenuità di essersi lasciati convincere dai deva che l’enorme testa di Vasuki fosse la parte più nobile, e quindi la più ambita, da maneggiare.
    il peggio, però, deve ancora venire: infatti il povero Vasuki, così stiracchiato tra testa e coda, inizia a sputare il suo terribile veleno e la prima cosa ad emergere dal frullamento dell’Oceano di latte è proprio il suo temibile miasma, che rischia di contaminare l’Oceano intero, distruggendo tutto il suo contenuto e avvelenando tutti, deva e asura compresi.
    e adesso?
    tutto è perduto?
    i deva chiedono a Shiva aiuto e protezione dato che, in quanto distruttore, è l’unico che possa salvare la situazione.
    il mestiere di una divinità è di ascoltare le preghiere e assecondare le richieste che le vengono rivolte e Shiva, che sa fare il suo mestiere, usa l’unico modo possibile per esaudire la supplica: si respira da solo tutto il veleno, trattenendolo in gola. 
    non rimane totalmente incolume, però, Shiva.
    assorbire il miasma perché il mondo possa esistere gli lascia un segno indelebile, e la sua gola diventa, per sempre, blu.
    ma i guai, si sa, non arrivano mai da soli.
    nemmeno il tempo per tirare un sospiro di sollievo (tutti meno Shiva), e ci si accorge con terrore che il monte Mandara sta inesorabilmente affondando…

    [continua]

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