Categoria: mito

  • le avventure della Terra e del Cinghiale – ovvero Prithvi e la Stabilità

    le avventure della Terra e del Cinghiale – ovvero Prithvi e la Stabilità

    Prithvi - mitologia indiana - Yoga e Mitologia

    In questa storia indiana ci sono rapimenti, discese in fondo all’Oceano di prima dell’inizio  salvataggi, lotte titaniche; in questa storia c’è, anche, una stabilità acquisita…
    È mai capitato a qualcun’altro? 
    Toccare il fondo’ (che per ciascuno ha una sfumatura differente), risalire, trovando stabilità, una saggezza diversa, una visione allargata, una pazienza rinnovata?
    Ecco, la storia è questa.

    Non è un caso se i miti indiani, spesso, iniziano con un Asura = demone: infatti gli Asura non sono mica, banalmente, brutti-malvagi-cattivi (o, almeno, non sempre, come saremmo invece portati a pensare quando traduciamo il termine con ‘demoni’). 
    Essi sono le qualità energetiche che stanno nell’ombra, al buio: e dunque quelle sconosciute
    Il primordiale timore del buio – anche se fingiamo, dignitosamente, di averlo superato fin dai tempi lontani dell’infanzia – è legato al fatto che ignoriamo cosa ci sia lì, nascosto nelle tenebre. 
    Magari c’è qualcosa  di sorprendente, potrebbe trattarsi di un incontro utile alla nostra crescita. 
    Per questo mi piace che le storie inizino con un Asura: iniziano con una sorpresa.
    Questa storia non fa eccezione.

    L’Asura si chiama Hiranyaksha, che significa Occhio-d’-Oro; la madre di Occhio-d’Oro è Diti, la Madre Cosmica, mentre il padre è Kashyapa, il primo dei Rsi, i veggenti: il capostipite, così antico che, a quanto pare, da lui discendono i Deva (Dei), gli Asura (anti-dei, ombre), i Naga e l’umanità tutta.


    Insomma Dei e Asura sono tutti figli dello stesso padre, e sono in costante lotta tra loro. Come nel simbolo del Tao, ombre e luci danzano, e dalla loro danza emergono energie diverse, colori differenti…nessuna delle due può prevalere definitivamente sull’altra, altrimenti la Vita, che è movimento, è vibrazione, avrebbe termine…

    Com’è possibile che il figlio di una coppia simile sia un Asura, oltretutto parecchio malvagio?
    Pare che, in un’incarnazione precedente, Occhio-d’Oro e il suo fratello gemello (Asura quanto lui) fossero i guardiani della dimora celestiale di Visnu, il conservatore della Vita (apparirà tra poco come Cinghiale Cosmico, in questa  storia); e quando alcuni veggenti si presentarono, chiedendo di incontrare Visnu, loro come custodi della tranquillità di Visnu glielo impedirono [come farebbe qualsiasi brava guardia del corpo degna del proprio incarico, eh!]. 
    I veggenti non la  presero bene: infatti, li maledirono.
    Dovete sapere che le maledizioni dei veggenti facevano paura a tutti perché erano implacabili
    Stavolta, ai due guardiani tocca di rinascere Asura
    Comunque sia, da Diti, la Madre Cosmica, nascono Hyranyakasha, Occhio-d’-Oro, e suo fratello, Vestito-d’-Oro.
    Mi ha colpito, questo dettaglio dell’occhio d’oro.
    Gli occhi d’oro sono soprannaturali, evocano super poteri
    Un modo diverso di guardare il mondo.
    Nella mitologia classica pare che la maga Circe, quella, per intenderci, che trasformò i compagni di viaggio di Ulisse in maiali, avesse occhi d’oro (e anche in quella vicenda ci sono superpoteri, occhi d’oro e maiali, cioè una versione più domestica e ben educata del cinghiale che sta per arrivare).
    È chiamato Occhio-d’-Oro pure un altro personaggio della mitologia indiana, Kubera, che è il custode dei tesori: pare infatti che, una volta, avesse affermato che il denaro può comprare tutto, così la Dea gli tolse un occhio, incitandolo a rimpiazzarlo. 
    E, lui, con cosa lo fece? 
    Esatto, si mise un occhio d’oro!. 
    Così uno dei suoi molti nomi è Ekaksipingala che vuol dire quello con l’occhio d’oro, o giallo.

    Tornando al ‘nostro’ Occhio-d’Oro, l’Asura, lui i superpoteri non li ha, non dall’esordio. 
    Ma sa bene come procurarseli: armato di incrollabile pazienza, decide infatti di praticare austerità rigidissime, dedicandole a Brahma, l’Iniziatore della Vita. Il dio, dopo anni e anni di preghiere, gli appare e gli concede la realizzazione di un desiderio.
    Infatti, come ben sappiamo, il mestiere del numinoso è, una volta invocato correttamente, di esaudire i desideri e rispondere alle preghiere. Anche se sei un Asura…
    Occhio-d’Oro chiede e ottiene di dominare l’intero mondo; in particolare ottiene che nessun animale elencato lì per lì, di fronte a Brahma, abbia mai il potere di ferirlo o ucciderlo. 
    Il fatto è che si dimentica di nominare un solo animale: indovinate quale?
    Infatti.

    Occhio-d’Oro inizia subito a creare scompiglio, saccheggiando ogni cosa di valore dalle creature del mondo, inclusi i testi sacri indiani. Sfida perfino a duello tutti i semidei, uno ad uno, ma nessuno di loro accetta. 
    Decide allora di trascinare Prithvi = la Terra, nel fondo dell’Oceano primordiale, e di tenerla prigioniera lì; ma, quando manca la Terra, cosa succede? 
    La Vita non riceve sostegno, si spegne, resta spazio solo per l’immobilità e la morte!
    Come sempre, quando la Vita stessa è in pericolo, quando l’universo è al punto di collasso, deve per forza intervenire Visnu, che perlappunto di mestiere fa il Conservatore della Vita: lui è quello che arriva e salva nelle situazioni più critiche.
    Stavolta prende la forma di un cinghiale, che era l’animale scordato da Occhio-d’Oro nel suo elenco: inizialmente, Varaha il Cinghiale esce dalle narici di Brahma (l’Iniziatore della Vita, e anche, in fondo di questa storia) come una piccola bestiolina delle dimensioni di un’insetto, ma inizia subito a crescere.  
    Diventa grande come un elefante, e cresce ancora, ancora, fino a diventare come una montagna, finché il suo corpo immenso occupa tutto lo spazio tra  la terra e il cielo.

    Cinghiale - Varaha: mitologia indiana - Yoga e Mitologia

    Il Cinghiale Varaha si tuffa nelle profondità dell’oceano, per salvare Prithvi
    Ovviamente incontra Occhio-d’Oro, che gli si para davanti e non ci pensa nemmeno di lasciare Prithvi libera; il loro combattimento dura mille anni, finché il Cinghiale, finalmente, distrugge  Occhiod’Oro. 
    Riporta Prithvi, la Terra, a galla: e le acque primordiali, mentre la Terra e il Cinghiale risalgono in superficie dalle profondità più oscure dell’oceano, vengono agitate da onde enormi, mulinelli, cascate…quando tutto si placa, il Cinghiale Varaha distende la Terra, Prithvi, ben bene, modellando montagne e continenti, in modo da renderla nuovamente abitabile.
    D’altronde ‘Prithvi’ significa ‘estesa’, ‘distesa’. 
    È il principio di fertilità, la fonte di ogni vegetazione, ed è la stabilità, e il sostegno degli esseri viventi.
    Lei è paziente come nessun altro, e porta sul petto il peso di tutto ciò che vive. 
    Il Cinghiale, di fatto, rappresenta la rinascita della Terra.

    Se siete arrivati fin qui, forse vi sarete accorti anche voi che questa storia ha qualcosa di noto, come quando ci presentano qualcuno che, con certezza, non conoscevamo prima, ma ci pare familiare…
    Se vi è capitato con anche con questo mito indiano (e non solo col cugino del vostro vicino di casa), potrebbe dipendere dal fatto che, nella mitologia classica occidentale, c’è una storia affine, con dentro il rapimento di una dea verso luoghi sotterranei, il recupero della dea stessa, un cinghiale…è il mito di Demetra/Persefone, rapita da Ade nell’oltretomba; anche qui la Vita è in  pericolo, e uno degli animali attribuiti a Demetra è proprio il cinghiale.
    Certo, nel mito indiano c’è una lotta tremenda, mentre in quello greco manca lo spargimento di sangue, manca Occhio-d’Oro. Perché Ade dell’oltretomba, delle oscurità, delle aree  sconosciute, del buio, è potentissimo e non ce lo sogniamo nemmeno di poterlo distruggere. Il mito greco trova un compromesso: dice che periodicamente la Dea deve tornare a regnare le zone oscure, e periodicamente risalire. Ade, in pratica, è un’energia molto più definitiva rispetto a Occhio-d’Oro (ha già i superpoteri, lui, non ha bisogno di procurarseli): con una qualità simile, si può solo negoziare, mica si può pensare di annientarla!

    Prithvi - Yoga e Mitologia - la terra e il cinghiale

    Prithvi è l’essenza dell’elemento Terra. È ‘colei che sostiene ogni cosa’: infatti nell’iconografia è rappresentata seduta su una piattaforma quadrata (= simbolo della stabilità e della terra), sorretta da 4 elefanti, che sono i 4 angoli del mondo. Può avere due o quattro braccia; spesso è rappresentata con del grano o  frumento in una mano, esattamente come le rappresentazioni di Demetra, e una delle mani è sempre in Abhaya Mudra, che è il gesto simbolico, Mudra, ‘che scaccia la paura‘; l’altra è in Varada Mudra, il gesto ‘del dono‘.
    E cosa c’è di più rassicurante della Terra che ci dice ‘Non aver paura, ti darò quello che ti serve’?

    Per questo Occhio d’Oro e Ade sono comunque simili: se non ci fossero loro, nelle due mitologie affini eppure differenti, non potremmo sapere che i ‘mondi’ possono comunicare, che si può finire nell’oscurità dell’Ade o del fondo dell’oceano.
    Se non ci fossero loro, non sapremmo che, capitasse mai di perderci nel buio, di toccare il fondo, beh da lì si può risalire
    Che possiamo attivare le energie che ci salvano (con un lotta pazzesca, oppure con una negoziazione).
    Che, alla fine, Prithvi, la Terra, sostiene sempre tutti gli esseri viventi e quindi anche noi, se solo ci autorizziamo a lasciarci sostenere, ad avere più fiducia nel movimento  della Vita.

    Come mai proprio il Cinghiale? [continua…]

    NB: per provare l’energia di Prithvi, c’è anche un bellissimo Mudra dedicato, QUI
    Se ti stai chiedendo cosa siano i Mudra…QUI!
  • l’amore al tempo delle divinità – seconda parte (Kamadeva)

    avatar” (parecchio prima di essere un film) è il termine usato per indicare le manifestazioni salvifiche di una divinità nel mondo e Visnu è, per contratto, quello della Trimurti (la Trinità indiana composta da Brahma, l’Iniziatore della Vita, Vishnu il Conservatore della VIta, Shiva il Distruttore) il più gettonato ad apparire ogni volta che un Universo sta per collassare anzitempo. 
    vista la vocazione, è naturale che sia lui a seguire  pazientemente Shiva nella sua danza selvaggia e disperata.
    ogni volta che può, Visnu taglia un pezzo del corpo senza vita di Sati: spera che, quando Shiva si ritroverà senza il cadavere tra le braccia, si fermerà, finalmente, e allora la Dea potrà rinascere.
    così sulla terra cade una pioggia di parti della Dea (52, per alcuni 108, comunque un bel po’), e i luoghi in cui cadono, lungi dall’essere il raccapricciante teatro di una scena splatter, saranno invece per sempre sacri e benedetti dalla Dea.
    [comunque non sono solo le Dee a venire affettate: infatti l’episodio della Dea fatta a pezzi ricorda da vicino un’altra storia, quella “mediterranea” di Iside e Osiride, solo che lì è il Dio, Osiride, a venir e ucciso smembrato in 14 parti (numero associato ai cicli lunari: il tempo che la luna ci mette a crescere e calare), creando altrettanti luoghi sacri].
    quando Shiva si accorge che il corpo di Sati non c’è più, si toglie dal mondo ben deciso a non tornarci, sprofondando in meditazione nei reconditi meandri di un picco montuoso. 

    in India, però, niente è eterno,  nemmeno la morte:  la Dea rinasce.
    stavolta da re Himavat (l’Hymalaya), con il nome di Parvati, che infatti vuol dire montagna.
    e di nuovo dimostra fin dall’infanzia una vera e propria fissazione per Shiva. lo prega in continuazione, ne adora l’immagine come le ragazzine di un  tempo veneravano i poster con le effigi dei cantanti dell’epoca (mi accorgo – sic! – solo ora che ignoro se gli adolescenti contemporanei conservino quest’usanza vetusta o se l’abbiano sostituita con altro…).
    qui entra in gioco uno dei rishi, che sono i saggi coi superpoteri: si chiama Narada.
    per una serie di circostanze (che naturalmente stanno dentro un’altra storia), Narada è destinato a viaggiare senza tregua tra i vari mondi. una sera lo trovi a cena con Visnu e Lakshmi, la mattina dopo se ne sta sulle rive del Gange in compagnia dei bramini…non solo Narada sa il fatto suo, ma è anche sempre informatissimo sulle ultime novità dei tre mondi.
    nel suo girovagare, arriva sull’Himalaya e predice a Parvati e ai suoi genitori che la fanciulla è la predestinata compagna di Shiva; stavolta il padre della Dea è contento della notizia e, benché si sappia che Shiva è pietrificato dal dolore e non degni di uno sguardo non dico le donne, ma nessuno al mondo, Himavat decide di accompagnare Parvati presso il Dio.
    infatti, combinazione!, Shiva per il suo ritiro ha scelto proprio una delle montagne che stanno nel regno di Himavat, e siccome il re fa in modo che la sua meditazione non venga mai turbata, Shiva ricambia la gentilezza accogliendo la richiesta che Parvati rimanga presso di lui per servirlo.
    anche se Shiva acconsente, non gli scappa un’occhiata a questa bellissima fanciulla, e tantomeno si accorge che in lei, in Parvati, Sati ha ripreso vita. 
    vedendo che Parvati veniva accompagnata alla montagna di Shiva, l’ansia dei deva si era placata, solo per lasciare nuovamente posto alla disperazione: la meditazione del Dio è troppo profonda, non si riesce proprio a riportarlo nel mondo.

    tra i deva c’è Kama, il dio del desiderio [siamo abituati a conoscerlo come Eros].
    è un bellissimo giovane, armato di arco e frecce fiorite, dalla mira infallibile e dal risultato certo: chiunque venga colpito dai suoi strali, cede al desiderio.
    proprio chiunque, ci è cascato anche Brahma che lo ha generato (tanto per cambiare, questa è un’altra storia).
    è l’unico che può accelerare le cose, così i deva lo convincono a intervenire.
    Kama parte insieme alla sua inseparabile compagna Rati, la passione,  e per questa missione  si fa accompagnare anche da Vasant, la primavera.
    così, sul quel picco montano gelido e lontano dai clamori del mondo, improvvisamente è tutto un fiorire, cinguettare e soffiar di zefiri che già da solo scioglierebbe anche il cuore più freddo.
    Shiva però non muove un muscolo da eoni, e continua a restare sprofondato in meditazione.
    in questa cornice leziosa e propizia, Kama scocca sicuro il suo dardo e colpisce Shiva, esattamente nel momento in cui Parvati gli si trova davanti.
    i deva si sono precipitati a spiare la scena, nascosti dalla vegetazione.
    tutti trattengono il fiato. 
    Kama, Rati, Vasant, Parvati, i deva
    Shiva apre un occhio, uno solo, il terzo occhio al centro della fronte.
    finalmente si è mosso!
    ma lo sguardo del terzo occhio di Shiva incenerisce, all’istante, Kama, che lo ha disturbato.
    tutti si disperano. 
    i devache non vedono vie d’uscita alla sconfitta da parte di Tarakasura. Rati che, incredula, raccoglie le ceneri dell’amato.


    qualcos’altro, però, è successo: nell’incenerire Kama, Shiva una sbirciata al mondo l’ha dovuta dare.
    e ha visto Parvati.
    e se ne è invaghito, all’istante.
    nessuno può resistere a Kama!

    Shiva però è un po’ confuso dalla situazione e non comprende subito che Parvati e Sati sono la stessa Dea.
    così Parvati, visto che stare presso Shiva non serve a far sì che lui si accorga della sua dedizione, pensa che per vincere il cuore del Dio deve dedicarsi all’ascesi, come aveva fatto un tempo lontano, di cui ha forse pochi e sfocati ricordi: se ne va nella foresta, si nutre solo di foglie, si copre con abiti di corteccia, medita tutto il tempo.
    un giorno, un giovane bramino arriva presso di lei. 
    poiché una ragazza bellissima e certamente di nobile casato che pratica l’ascesi in una foresta è una visione surreale, il bramino le chiede il motivo della sua presenza lì.
    Parvati spiega che sta cercando di attirare l’attenzione di Shiva.
    il bramino non crede alle sue orecchie: ma come?!? una principessa innamorata di quel dio così poco presentabile?
    mai parlar male dell’amato a una fanciulla innamorata: Parvati a momenti lo strozza.
    il bramino, però, non è un vero bramino, è Shiva travestito che, incredulo, ha messo alla prova l’amore di Parvati; la reazione della Dea gli basta per manifestarsi.

    il racconto finisce qui, con l’unione felice di Shiva e Shakti, con la certezza che, prima o poi, il demone Takasura potrà essere vinto dal figlio di Shiva e con il povero Kama che, su gentile concessione di Shiva che lo ha incenerito, rinascerà presto. per la cronaca anche Daksha, il padre di Sati, verrà resuscitato da Shiva e, al posto della testa che gli è stata mozzata, avrà per sempre quella di una capra.

    i miti, lo sappiamo bene, raccontano di noi, di ciascuno di noi.
    ci parlano oltrepassando gli schemi, superando le rassicuranti logiche della mente raziocinante.
    vanno dritti alle viscere.
    l’amore tra Shiva e Shakti è la storia di una scoperta, dell’incontro tra aspetti prima sconosciuti.
    non basta un contatto fugace, non basta l’intuizione dell’esistenza di qualcosa d’altro: l’elemento incontrato va integrato, perché gli aspetti di noi che non comprendiamo del tutto causano distruzione e sofferenza.
    Shiva e Sati non vengono riconosciuti da Daksha e finisce male: Sati implode e si uccide; Shiva esplode e distrugge tutto ciò che trova. 
    è la disintegrazione totale.
    le cose cambiano solo quando entra in gioco Kama, il Desiderio, l’energia suprema, il motore della Creazione, della Vita.
    è la divinità più potente, tanto che non c’è elemento che possa resistergli: senza desiderio, il mondo non esisterebbe.
    Kama è il primo movimento, è la prima scintilla alla Vita. 
    è il desiderio muoverci e a muovere il mondo.
    ma mettere in campo Kama non è una passeggiata: serve Tarakasura, il rischio del collasso totale.
    solo allora Kama interviene e ci spinge oltre i nostri limiti, oltre le nostre paure, oltre i nostri timori.
    solo allora Shiva e Shakti possono incontrarsi e integrarsi reciprocamente, davvero.

    solo allora il mondo può iniziare, ancora una volta.
    [prima parte qui]

  • l’amore al tempo delle divinità – prima parte (Shiva e Sati)


    cosa significa l’amore tra il Dio e la Dea?

    che conseguenze ha nella percezione di noi stessi e nel nostro modo di attraversare le esperienze della Vita?
    chi è Shiva?
    chi è Sati?
    chi è Parvati?
    cosa c’entrano con lo Yoga, col Tantra?
    ecco la storia.

    Shiva, il Dio, è il principio Maschile (attenzione, NON uomo, ma principio energetico maschile!).
    è un dio strano: sembra un vagabondo, coperto di cenere, seminudo, scalzo, spettinato, con una falce di luna tra i capelli e il fiume Gange che gli sgorga sulla testa (questa, però, è già un’altra storia), adornato con monili di serpenti vivi.
    se ne sta eternamente raccolto in meditazione in qualche picco montano, inaccessibile quanto lui.
    la Dea, la Shakti, è la potenza, l’energia, è la Vita, il principio energetico Femminile.
    facciamo iniziare la storia nel momento in cui Brahma, che per l’appunto è il dio dell’inizio, chiede alla Dea, alla Shakti, di incarnarsi in una donna e portare Shiva nel mondo, nella Vita, distogliendolo dalle sue pratiche ascetiche (le motivazioni di Brahma stanno in un’altra storia ancora).
    La Dea accetta e sceglie di nascere al mondo come figlia di Daksha: questo signore è un re arcinoto ed è nientepopodimeno che figlio di Brahma stesso.
    Daksha è un fervente e rigoroso adoratore della Dea, e la sua gioia è enorme quando riceve in sogno una visita proprio della Dea in persona, che gli dice “ho scelto te e la tua sposa come genitori, mi incarnerò nel grembo di tua moglie. sarò vostra figlia ma, attenzione: non dimenticarti mai che anche come tua figlia, sarò pur sempre la Dea. trattami con rispetto perché, se non lo farai, me ne andrò immediatamente”.
    non fa fatica a promettere, Daksha.

    così nasce Sati, la Dea incarnata.
    è una spettacolare principessa, una meraviglia della natura per bellezza, saggezza e intelligenza.
    Daksha è felice e non vede l’ora di maritarla a qualche valoroso re del circondario.
    ne arrivano a ondate, di pretendenti, da tutto il mondo. ciascuno incantato dal  fascino di Sati, ciascuno chiedendola in sposa.
    solo che lei, Sati, rifiuta tutti.
    ha un pensiero fisso: da quando è nata, lei vuole solo Shiva.
    il che è complicato, dato che lui, Shiva, se ne sta per l’appunto in meditazione sulla montagna più alta del mondo, lontano da tutto e decisamente inadatto alla vita di corte che una principessa dovrebbe condurre.
    ma Sati è irremovibile.
    o Shiva, o niente.
    Daksha si deve arrendere all’evidenza: Sati non sposerà alcun re.
    la stessa Sati decide di lasciare gli agi delle reggia paterna e di ritirarsi in meditazione nei boschi, pensando che l’unico modo per incontrare Shiva sia seguire le stesse pratiche ascetiche che il Dio conduce.

    da principessa ad eremita, la Dea incarnata pratica il digiuno, la meditazione e l’ascesi come se non avesse mai fatto altro in vita sua; con tale concentrazione da surriscaldare gli iperurani dove i deva dimorano.
    lassù finiranno arrostiti se non si mette fine in qualche modo alle pratiche di Sati, e tutti allarmati i deva chiedono a Shiva di aiutarli. il mestiere di un dio è ascoltare le suppliche e esaudirle, e Shiva esce dalle sue austerità: nota Sati, se ne innamora e i due convolano a nozze.
    …e vissero felici e contenti? nemmeno per sogno.

    infatti c’è chi non è per niente contento di questo finale: Daksha, il padre di Sati.
    c’era stato un piccolo “misunderstanding” tra i due, in passato, del tipo che ti capita quando incroci qualcuno che forse non sei sicuro di riconoscere o che ti riconosca e quindi passi oltre senza rivolgergli nemmeno un cenno di saluto, magari fingendo di non averlo notato.
    beh, la prossima volta che vi capita, ricordatevi di questo mito.
    e salutate per primi (l’episodio è di per sé un’altra storia ancora).
    insomma tra Daksha e Shiva c’è della ruggine; quel genero sporco, disordinato, impresentabile e indifferente alle cerimonie, a Daksha non va proprio a genio.
    e un bel giorno decide di vendicarsi organizzando una grande cerimonia rituale.
    invita tutti: tutti i deva, Brahma e Visnu (che insieme a Shiva compongono la Trimurti, la trinità di divinità più potenti delle altre), i rishi (i saggi dei tre mondi, dotati di superpoteri divini), i re….tutti sanno del grande rituale, tutti sono stati invitati: ciascuno avrà la propria parte.
    [perché le divinità nei rituali ricevono un’offerta, ed è dall’offerta che traggono nutrimento.
    in fondo, a un dio che non venisse pregato da nessuno, cosa resterebbe?]

    ci vanno tutti; tutti tranne Shiva e Sati, che invece non sono stati invitati.
    naturalmente a Shiva non potrebbe interessare meno della cosa, ma Sati decide di andare da suo padre e capire come mai non li ha chiamati.
    quando si presenta, scopre che non è affatto una dimenticanza: Daksha intendeva proprio umiliare Shiva escludendolo dal rituale,  infatti la parte di offerte normalmente destinate a Shiva non c’è…
    Daksha tratta Sati con freddezza, le dice che quel suo marito che se ne va a zonzo per campi crematori, cosparso di ceneri, non usa abiti ma una pelle di tigre intorno ai lombi (un po’ Tarzan) e porta ogni sorta di serpenti addosso, non è degno per niente di stare accanto alle altre divinità.
    in ogni caso organizzare il più grande rituale di tutti i tempi senza tener conto di colui che si era respirato il miasma emerso dal Frullamento dell’Oceano di Latte, rende il rituale stesso inutile, è solo follia.
    una follia con conseguenze pesantissime.

    avete presente quando si dice “offendersi a morte”? beh, Sati lo fa, alla lettera.
    ricorda di essere l’incarnazione della Dea.
    ricorda di aver avvisato Daksha, prima di nascere, che mai avrebbe dovuto mancarle di rispetto, cosa che invece è appena accaduta.
    e si uccide: è la perfetta Yogini e chiude immediatamente tutti i chakra: muore all’istante.

    già che la Dea si uccida sarebbe un epilogo tragico, ma ancora non è finita.
    siccome le disgrazie non arrivano mai sole, mentre tutti i partecipanti al rituale sono raggelati dallo spettacolo del cadavere di Sati, arriva Shiva.
    il quale non è certo noto per il suo buon carattere; figurarsi come può reagire al suicidio della moglie   uno che di mestiere fa il Distruttore!
    dalla sua rabbia nasce Virabhadra: un demone feroce e invincibile, che distrugge tutto.
    mena a destra e a manca, spacca teste, taglia a pezzi chiunque si trovi sul suo cammino.
    Daksha è il primo a rimetterci la testa.
    la furia sembra inesauribile, finché, all’improvviso, Shiva si trova davanti al cadavere di Sati.
    si raggela, e la rabbia cieca lascia il posto al dolore, al lutto, alla disperazione.
    Virabhadra scompare.
    il Dio prende in braccio il corpo di Sati e inizia a vagare per il mondo, piangendo disperato.
    danza la Tandava, Shiva: la danza della distruzione, col cadavere dell’amata in braccio.

    i deva sono in scacco: finché Shiva non si stacca dal cadavere di Sati, al quale il potere del dio impedisce di decomporsi, la Dea non potrà reincarnarsi.
    ed è invece urgente che la Dea torni nel mondo, perché nel frattempo il terribile asura (demone) Taraka sta sconfiggendo i deva.
    come Mahishasura, anche Tarakasura si è meritato, sempre da Brahma, l’esaudimento di un desiderio.
    ma, più astutamente rispetto al demone-bufalo, ha chiesto di poter essere sconfitto solo da un figlio di Shiva e Shakti, ben sapendo che Shiva se ne stava da eoni in meditazione sul monte più inaccessibile del cosmo e ritenendo impossibile che la Dea potesse svegliarlo. 
    il desiderio è stato esaudito e ora la situazione è tragica: Sati è morta, la Dea non può incarnarsi di nuovo finché Shiva resta abbracciato al cadavere, il che rende impossibile il concepimento di colui che potrà sconfiggere il tremendo Tarakasura, che intanto sta facendo il bello e, soprattutto, il cattivo tempo tra i deva.

    [continua]

  • il frullamento dell’oceano di latte – seconda parte (amrita)

    qui interviene Vishnu, che prende la forma di Kurma la tartaruga e, intrufolandosi sotto la montagna, la sostiene sul proprio carapace.
    riprende il lavoro.
    tira e molla, tira e molla, tira e molla…per mille anni.
    forse per diecimila anni.
    forse di più.
    l’Oceano di latte è bolle e schiuma, non si vede altro, immersi da ondate bianche, e schiuma, e bolle, c’è spazio solo per l’immensa fatica del tira-e-molla, infinito.
    si è addirittura persa la memoria dei fatti che li hanno portati tutti lì, paradossalmente insieme, a frullare l’immenso, inconcepibile Oceano.

    poi.
    qualcosa di diverso da onde bianche e schiuma.
    qualcosa pare emergere, dallo sconfinato latte.
    un movimento differente delle onde sorprende tutti e la memoria torna e, insieme alla memoria, un barlume di speranza.

    tutto era nascosto nell’Oceano.
    ogni cosa ancora là da esistere.
    e di più.
    soprattutto stavano nell’opaco silenzio di latte degli specialissimi tesori, Ratna, che, uno dopo l’altro, vengono a galla.
    lasciando deva e asura, ancora storditi dalla fatica, a bocca aperta, immobili per la sorpresa.
    l’Oceano produce la splendida dea Lakshmi: la dea della bellezza, della fertilità, dell’abbondanza, della fortuna, che emerge dalle acque e prende subito per mano Vishnu, diventandone la consorte.
    Afrodite, si chiama nel bacino del Mediterraneo.
    [i miti raccontano parlano con immagini al nostro cuore, e il cuore dell’umanità è raggiungibile ovunque da figure simili, anche tralasciando le interessenze tra Oriente e Grecia. per la cronaca, Vishnu è il conservatore della Vita, Shiva il distruttore, Brahma il creatore]
    Parijata , l’albero divino, con boccioli che non appassiscono né svaniscono mai, e che realizza tutti i desideri.
    Sura, dea del vino.
    il medico degli dei, Dhanvantari.
    la luna, Chandra.
    Surabhi, la vacca dell’abbondanza.
    l’elefante bianco Airavata.
    Rambha, la ninfa divina.
    il cavallo bianco a sette teste, Uchchaisravas.
    l’arco di Vishnu.
    la conchiglia di Vishnu.
    il gioiello Kaustubha.
    del miasma abbiamo già detto.
    Amrita, il nettare dell’immortalità.
    eccola qua!
    [ognuno dei Ratna finisce in altre storie, affluenti dello stesso fiume mitologico]

    gli accordi svaniscono alla vista dell’Amrita e improvvisamente si genera un parapiglia confuso e totale, in cui tutti cercano di impadronirsi della coppa contenente l’agognato nettare.
    gli asura l’afferrano subito e all’istante iniziano a litigare su chi tra loro debba berne per primo.
    arriva però Vishnu non nella sua consueta veste, ma nelle meravigliose forme di Mohini, l’eterno femminino, una figura di incantevole bellezza
    la sua avvenenza stordisce tutti, al punto da convincere gli asura, completamente inebetiti da tanto splendore, a lasciare che sia lei a distribuire la bevanda.
    come negarglielo?
    Mohni inizia la sua distribuzione  danzando, dispensando agli asura del vino (in fondo era pur sempre appena emerso dalle liquide profondità dell’Oceano), ai deva, invece, l’Amrita.
    questa parte di storia finirebbe qui, con i deva che furbescamente acquisiscono l’immortalità e gli asura che agogneranno sempre all’Amrita…
    ma ci sono altre mille storie collaterali.
    c’è ad esempio il racconto del destino curioso e diverso di un asura, Rahu, che durante la distribuzione dell’Amrita si era intrufolato tra le fila dei deva.
    mentre il Sole e la Luna, in fila dopo di lui,  avvisano Mohini dell’imbroglio, Rahu riesce ad assaggiare qualche goccia di Amrita.
    purtroppo per lui non farà in tempo ad inghiottire il suo primo sorso, perché Mohini, che è pur sempre Visnu, velocissima lo decapita.
    ma le labbra di Rahu sono state fugacemente  in contatto con l’Amrita, quindi la testa dell’asura rimane immortale.
    l’aver assaggiato anche solo per poco la meravigliosa bevanda rende Rahu per sempre famelico della pozione (Obelix in salsa indiana!): la coppa con l’Amrita viene nascosta sulla Luna e l’unica parte di Rahu immortale, cioè la testa, eternamente cerca di inghiottire l’intera Luna.
    ma Rahu è una testa senza corpo, e la Luna torna sempre, scivolandogli fuori dalla gola… provocando i cicli lunari, le maree e, di fatto, contribuendo al movimento della Vita nel mondo.

    sempre i miti, anche questo, ci raccontano di noi.
    qui si narra un cambiamento.
    estrarre il burro dal latte è cambiare lo stato della materia, e la trasformazione è irreversibile.

    il mito ci avverte.
    descrive un processo psichico, e l’impegno che il cambiamento richiede: bisogna mettere d’accordo deva e asura, integrare e armonizzare le nostre qualità energetiche, quelle che conosciamo meglio e quelle in ombra.
    descrive processi fisiologici, Corporei: l’oceano di latte da cui estrarre l’Amrita (e tutto l’esistente) è nella testa, la volta celeste sotto la calotta cranica.
    serve un perno sicuro, la percezione di un centro che è il nostro monte Mandara sostenuto dal carapace di Kurma, la tartaruga (la colonna vertebrale, il bacino, il pavimento pelvico).
    si tratta di sensazioni fisiche, del sistema endocrino, del sistema nervoso; le energie si sentono nel corpo.
    Vasuki va tirato fuori dal suo nascondiglio e guardato bene in faccia, per poterlo conoscere, avvolto intorno al monte.
    il veleno c’è, perché all’inizio di un cammino di trasformazione viene a galla il turbamento.
    se non ci fosse il miasma, Shiva (che per inciso è il mio preferito, il dio dello Yoga e della Danza, selvaggio e inossidabile al conformismo, uno che se ne va a spasso scalzo, coperto da una pelle di tigre, coi serpenti che lo avvolgono come gioielli e la luna tra i capelli…ogni dettaglio ha una simbologia precisa, una storia a sé) non potrebbe manifestarsi e respirare via il veleno.
    che lascia il suo indelebile marchio, segno di un passaggio di stato.
    glielo lascia nella gola, sede dell’espressione, da dove origina tutta la manifestazione che viene vocalizzata nell’esistenza.
    dopo il veleno, vengono i tesori.
    insieme al veleno, inizia la Vita.

    [la storia inizia qui]

  • il frullamento dell’oceano di latte – prima parte (il dio dalla gola blu)

    questo mito inizia con una promessa. una promessa fatta in tempi lontani, in cui, tanto per cambiare, i deva (dei) e gli asura (antidei) se le danno di santa ragione in una guerra infinita e sfinente: in palio c’è – nientepopodimenoché – il dominio sui tre mondi.  entrambi gli schieramenti sono ormai fiacchi e indeboliti, ma gli asura sono decisamente in vantaggio: i deva hanno un disperato bisogno dell’Amrita, il nettare dell’immortalità.
    infatti nella notte dei tempi gli dei non sono nemmeno ancora immortali. vivono molto, molto a lungo, è vero, ma la morte li prende sempre e soffrono di tutte le lacerazioni che la guerra prolungata lascia dietro di sé.
    il fatto è che l’Amrita se ne sta immersa nell’immenso Oceano di latte, l’oceano senza sponde di prima dell’inizio, dove tutto è contenuto: ogni cosa è lì, intimamente mescolata a tutte le altre che ancora devono venire ad esistenza.
    ma come si fa a tirar fuori, da quell’enorme marasma opaco, il prezioso nettare?
    essendo latte, si può frullare (per la precisione, zangolare), proprio come si farebbe per tirarci fuori il burro.
    bello.
    ma frullare un immenso oceano non è mica come zangolare un secchio di latte!
    “per riuscirci, alleatevi con gli asura”, consiglia Vishnu ai deva.
    questa è la promessa che da vita alla storia: i devapromettono agli asura, in cambio di collaborazione, di dividere con loro il prezioso nettare.
    una promessa pericolosa, difficile da mantenere.
    i deva borbottano tra loro su questa inedita cooperazione, ma ci si penserà dopo a come sistemare le cose, dopo, quando avranno la coppa dell’Amrita in mano.
    ora l’urgenza è tirarla fuori dall’Oceano.
    gli asura, sfiancati dalla guerra e sedotti dalla prospettiva di diventare invincibili, accettano subito di dividere fatiche e premio finale con gli avversari di sempre.
    l’impresa è immane.
    per costruire la più grossa zangola mai esistita decidono di utilizzare, come perno, il monte più alto dell’universo: il monte Mandara.
    non è roba da poco: deva e asura scavano le radici della montagna, per estirparla dal suo sito, ma scavare come matti non basta perché non riescono, nemmeno tutti insieme, a trasportarlo.
    il monte scivola, tentenna, cade, schiaccia e non si lascia trasportare. non ce la farebbero mai se l’enorme Garuda, l’aquila divina, non lo prendesse con i suoi artigli, portandolo sa solo al centro dell’Oceano.
    per fabbricare, però, una zangola non basta avere il perno adatto: serve anche una corda da avvolgere intorno al monte.
    qui entra in gioco Vasuki, il re dei serpenti, gigante quanto il monte Mandara, che sembra proprio fatto apposta per essere la fune del frullatore cosmico.
    i deva tengono la coda del serpente, gli asura la testa, e tirano a turno.
    oooh issa, oooh issa!
    la montagna  inizia a ruotare, prima piano ma, man mano che l’inerzia cede, sempre più in fretta…schiuma, ondate di latte,
    oooh issa, oooh issa!
    onde sempre più agitate, il vortice intorno al monte Mandara inizialmente è timido, ma via via diviene più profondo,
    oooh issa, oooh issa!
    tutti sudano faticano in modo inesprimibile.
    col progredire del lavoro, il fiato di Vasuki diventa caldo, poi più caldo, poi rovente, una fiatella da paura!
    gli asura, che proprio dalla testa lo tengono, maledicono l’ingenuità di essersi lasciati convincere dai deva che l’enorme testa di Vasuki fosse la parte più nobile, e quindi la più ambita, da maneggiare.
    il peggio, però, deve ancora venire: infatti il povero Vasuki, così stiracchiato tra testa e coda, inizia a sputare il suo terribile veleno e la prima cosa ad emergere dal frullamento dell’Oceano di latte è proprio il suo temibile miasma, che rischia di contaminare l’Oceano intero, distruggendo tutto il suo contenuto e avvelenando tutti, deva e asura compresi.
    e adesso?
    tutto è perduto?
    i deva chiedono a Shiva aiuto e protezione dato che, in quanto distruttore, è l’unico che possa salvare la situazione.
    il mestiere di una divinità è di ascoltare le preghiere e assecondare le richieste che le vengono rivolte e Shiva, che sa fare il suo mestiere, usa l’unico modo possibile per esaudire la supplica: si respira da solo tutto il veleno, trattenendolo in gola. 
    non rimane totalmente incolume, però, Shiva.
    assorbire il miasma perché il mondo possa esistere gli lascia un segno indelebile, e la sua gola diventa, per sempre, blu.
    ma i guai, si sa, non arrivano mai da soli.
    nemmeno il tempo per tirare un sospiro di sollievo (tutti meno Shiva), e ci si accorge con terrore che il monte Mandara sta inesorabilmente affondando…

    [continua]

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