Categoria: crescita

  • Il figlio del monsone – Ganesha (seconda parte)

    Il figlio del monsone – Ganesha (seconda parte)

    Ganesha, mitologia indiana, Yoga e Mitologia, KeYoga, Laura Voltolina
    [prima parte QUI]
    D’altronde, come diceva una mia saggia antenata, c’è sempre (almeno) una soluzione, e Shiva lo sa bene!
    Ordina ai suoi attendenti, I Gana, di andare a cercare una testa per sostituire quella decapitata al fanciullo.
    Nella versione più diffusa del mito si narra  che i Ganapresi dall’affanno di obbedire all’istante, portassero a Shiva la testa della prima creatura incontrata: un elefante, appunto, dato che Shiva è uno che può permettersi di ordinare una testa, così, senza specifiche…

    La versione che preferisco io, invece, è quella in cui Nandi, il toro bianco cavalcatura di Shiva, vaga coscienziosamente per i tre universi perché non basta una testa qualsiasi, deve trovarne una adatta a stare sul corpo del figlio di Parvati!
    Ed è quando incontra Airavata, l’elefante emerso all’inizio dei tempi dal frullamento dell’oceano di latte [un’altra storia, raccontata QUI] che la ricerca ha termine: Airavata non è mica un elefante qualsiasi, infatti. 
    Non solo è nato dall’oceano cosmico di prima dell’inizio, quindi è blasonato, ma aveva il compito di portare l’acqua dal sottosuolo al cielo, dove Indra, che per l’appunto è il dio del cielo, l’avrebbe fatta piovere sulla terra.
    La testa di Airavata conferisce a Ganesha la connotazione di abbondanza e fertilità che lo caratterizza, e forse per questo è la versione che mi piace di più. Per questo, e perché adoro quando i miti si incrociano…

    Solo quando Ganesha è completo, con la testa dell’elefante – che sia Airavata o un elefante qualsiasi – sul corpo di fanciullo, che diventa a tutti gli effetti il figlio del monsone.
    Così, Vinayaka diventa Ganesha, nato-due-volte, completo, integrando le energie di Parvati, la Dea che lo ha creato, e di Shiva, il Dio che lo ha ri-creato.
    La sua cavalcatura è – come sa bene la signora di quell’internet café a Varanasi – un topolino: i topolini si intrufolano ovunque, sono incontrollabili, non conoscono ostacoli.
    Esattamente come Ganesha.

    IL PUNTO DI VISTA DEGLI OSTACOLI
    Ganesha significa ‘leader dei Gana’, che sono gli attendenti di Shiva, gli squatters del monte Kailash [descritti QUI].
    Non fanno del male, ma fanno paura, tanta paura: mettono alla prova, noi e il nostro coraggio. 
    Ma Ganesha è Vinayaka, e i Vinayaka sono un gruppo di demoni molesti che creano difficoltà: insomma Ganesha, a dispetto del suo aspetto tenerone e gentile, del suo ventre tondo e dell’atteggiamento innocuo, è un’energia potentissima!
    Infatti è colui che pone ostacoli, ove necessario; è colui che li rimuove, ove utile; un Giano Bifronte orientale, un ‘allenatore’ spirituale, la raffigurazione perfetta del guru interiore [se n’è parlato, tra le altre cose, QUI].

    Ha senso quindi invocarlo quando arriva un cambiamento, un inizio, un movimento: nel gioco degli ostacoli, ci svela la fiducia nel movimento cosmico della Vita.
  • L’Onda lunga della Luna (e dello Yoga)

    L’Onda lunga della Luna (e dello Yoga)

    Luna, Yoga per la Donna, Laura Voltolina

    Ai tempi, beh, c’era pochino, in giro.
    Le informazioni dovevi proprio andartele a cercare; le esperienze le facevi tutte sulla tua pelle (che, poi, le esperienze si facciano sempre e solo sulla propria pelle, per definizione, è una inevitabilità che ho constatato proprio in questa ricerca).

    Quando ho elaborato per la prima volta – dopo una vita di studio e sperimentazione personale –il percorso della Luna nel Pozzo, dedicato all’espressione del Femminile Corporeo fuori dai condizionamenti, non potevo che sviluppare qualcosa di autentico e originale, dunque.
    Anni dopo, sbam!, mille proposte, mille idee, mille attività.
    Ti piovono proprio addosso.
    Questo mi fa piacere, per me è bellissimo assistere all’allargarsi dell’interesse in un tema che ho così visceralmente a cuore.

    Un po’ come lo Yoga: 16 anni fa l’affermazione ‘insegno Yoga’ generava, quando andava bene, sguardi vacui o contriti ‘non arrivo a toccarmi la punta dei piedi’ , quando andava male, l’immancabile ‘ah, fai lo Yogurt?’.
    Adesso la reazione, quasi sempre, è ‘che stile di Yoga?’ [al netto della constatazione che  il mondo dello Yoga, negli ultimi tempi, richiama in effetti il circo (acrobati, maghi, clown e adorabili animali per ora domestici ma chissà, diamo tempo al tempo), il che innesca spesso e volentieri rabbiose polemiche interne, reazioni spazientite nei praticanti di lunga data e confusione in tutti gli altri.  Personalmente, polemizzare su ‘il mio stile è più yogico del tuo/di tutti gli altri’, o il tristemente immarcescibile ‘il mio maestro è migliore del tuo/di tutti gli altri’ – prodotti dell’inconfessato ‘io sono migliore (ovvero temo di essere peggiore) di te’ – mi pare un’inutile spreco di energie e, sotto sotto, testimonia un bel dispiegamento egoico, invisibile soltanto a chi, nella polemica, affonda].
    Di fatto io trovo irresistibile che la disciplina cui dedico la mia vita e il mio lavoro sia diffusa e conosciuta. Non posso farci nulla, mi vengono su sorrisi più che espressioni accigliate o sospirati ‘Shiva, dammi la forza’…

    Ecco, con la Luna nel Pozzo è stata un’escalation affine. 
    Solo che all’inizio le reazioni andavano da silenzi imbarazzati dall’evidente sottotitolo ‘caspita, una femminista odia-uomini, meglio stare alla larga’ a ‘ah, sì! Prendiamo un accendino e bruciamo i reggiseni!’.
    Alcune donne, curiose, hanno iniziato a partecipare, a praticare e a condividere, fuori dai preconcetti.
    Adesso, più o meno, l’ondata di interesse soprattutto sociale e culturale è fortunatamente più larga.
    Certo, molte idee e proposte che vedo in giro non mi suonano così originali, o approfondite, o ricche, ma va bene; di un’onda larga, grande, ancor più grande, abbiamo bisogno tutti, donne e uomini, e che quest’onda ampia contenga tutti gli inviti: c’è spazio per tutti.

    La Luna nel Pozzo ha una vita propria, ha esperienza di anni, si è arricchita ed è cresciuta coi contributi delle donne che hanno partecipato, delle loro luci, delle loro intuizioni, dei nostri scambi.
    Non è mai uguale a se stessa.
    Il lavoro che facciamo è sempre Corporeo, ché dal Corpo delle Donne non posso prescindere, io arrivo da anni – tanti – di Yoga e sono come gli animali (o come crediamo che gli animali siano): incapace di ‘sentire’ davvero una separazione tra Corpo, Mente, Emozioni, Anima o comunque vogliamo chiamare l’ineffabile.
    Dal Corpo che sperimenta e vive e si ascolta: è da da lì che arriva, ad esempio la scoperta di avere abitudini, magari ereditate da generazioni, a pensarci piccole, deboli, incapaci, non degne. E allora l’esperienza personale che emerge diventa anche sociale e culturale, e (anche, a volte) consapevolezza di una connivenza sottocutanea ai sistemi collettivi che schiacciano le donne.  Non si tratta mai di ‘chiacchiere’, insomma.
    Ciascun gruppo nel tempo ha rivelato una propria natura specifica, un proprio punto di vista, una propria ricchezza.

    Della Luna nel Pozzo amo lo svelamento degli Archetipi del Femminile, amo che siano incarnati nei Corpi, amo scoprire dalle condivisioni ciò che ciascuna ha trovato.
    Ogni volta che arriva il momento di guidare un nuovo cerchio di Donne curiose non sto nella pelle, chissà cosa troverò di ancora nuovo, ancora interessante, stavolta…non sono mai, mai rimasta delusa!

    con gratitudine, dunque, per tutte le Donne capaci di mettersi in gioco

  • L’età della crescita, ovvero tre episodi di cambiamento corporeo (episodio 3)

    Yoga e cambiamento corporeo, esperienze Yoga, insegnante Yoga, KeYoga
    “fortuna che l’età della crescita l’ho passata” 
    Lo pensi con gratitudine, chiedendoti che ci fanno così tanti ragazzini suppergiù delle medie, in tram, in piena estate, ché la scuola è finita.

    Ti chiamano la memoria a quando c’eri tu, alle medie, e guardandoli sgraziati e allegri ripensi a quella parola strana che ti dicevano i medici all’epoca, e la pronunciavano seri, a volte cupi: scoliosi.
    Seguita da un sacco di altre parole e aggettivi, che volevano dire che la tua schiena lunga non la voleva smettere di crescere, andava in fretta, troppo, scappava via, e si stava accartocciando.
    A te veniva in mente il proverbio che ripeteva sempre il nonno: chi va piano va sano e va lontano, “… ma cosa corri a fare, schiena, che poi ti schianti?”.
    Di crescere, ti dicevano, si smette. 
    Se non metti il busto adesso, tra sei mesi sarà troppo tardi, dicevano, ché l’accartoccio mica si può più sistemare, dopo.
    Anzi, alcuni volevano operarti lì per lì per correggere la folle corsa della tua schiena.
    A te faceva così tanta impressione che ti rifiutavi perfino di immaginartelo.
    I più arditi arrivarono a spiegarti, con un disegno che ancora ricordi, che la tua statura un giorno sarebbe poi diminuita, che capita a tutti, è naturale.
    Spiegavano che, a un’età che quando si è molto giovani non si riesce proprio a concepire, si inizia a ritirarsi e l’accartoccio allora diventa un nodo marinaio.
    A te sembrava di essere il tuo maglione preferito quella volta che era finito nel lavaggio sbagliato, e avresti voluto tirarti fuori dalla lavatrice prima che il programma iniziasse a infeltrirti.

    A un certo punto, ricordi bene mentre scendi alla tua fermata, ti sei rifiutata di vedere altri medici.
    Di farti operare.
    Di mettere il busto.
    E ti sei tenuta la diagnosi, pensandoci sempre meno e andando avanti col resto dell’adolescenza.




    Non mi sono mai sognata di mettere in discussione quei postulati.
    Non mi sono nemmeno mai sognata di verificare, superata l’età della crescita e invertita la direzione, il numero nei documenti che indica la statura, perché i postulati sono, appunto, postulati e da un certo punto in poi gli unici numeri ufficiali che cambiano sono quelli del recapito. 
    Fino al giorno in cui qualcuno dichiara che sono certamente più alta dei centimetri scritti sulla carta d’identità.
    Ne è sicuro, vuole verificarlo, per provare di riflesso che la propria, di statura, corrisponde a quella certificata nei suoi, di documenti: di fatto siamo alti uguali, sulla carta c’è una differenza di diversi centimetri.
    Quel metro lì nella farmacia all’angolo dice che, dall’ultima misura adolescenziale, sono cresciuta.
    Due centimetri.
    (lui invece, apparentemente ne ha persi quattro, ma questa è un’altra storia).
    Mi è venuta la voglia prepotente di fare quattro chiacchiere vis-à-vis con la pletora di ortopedici che mi terrorizzarono da ragazzina, sostenendo che a ventanni non sarei più stata in grado nemmeno di camminare, “con quella schiena”…

    Anni di Yoga sono (anche)  piedi più larghi insofferenti alle calzature (soprattutto se strette e col tacco), spalle e torace che non entrano più in nessuna vecchia giacca e un guardaroba da rifare, e due centimetri in altezza guadagnati alla scoliosi che avrebbe dovuto paralizzarmi vent’anni or sono.
    Lo Yoga mi insegna, giorno per giorno, ad abitarmi in modo diverso, a scoprire con stupore sempre nuovo spazi impensati.

    La cosa più interessante, però, non è trovare un altro numero di scarpe, né cambiare la misura sui documenti.
    E’ mettere in dubbio i postulati.

    [anche qui e qui]
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